Viene da Cuba ed è figlio di Bebo Valdés, mitico proprietario del night Tropicana ma lui, Chucho Valdés, 70 anni, è uno dei grandi pianisti del jazz contemporaneo, quello che fonde influenze etniche e improvvisazione. Leader di gruppi come Irakere e Crisol, è noto soprattutto come solista dal suono duttile e colorito, come dimostra lo strepitoso successo che sta ottenendo al Blue Note di via Borsieri (due show a sera da mercoledì ad oggi).
Come si è avvicinato al jazz?
«A Cuba la religione Yoruba è un concentrato di tutte le radici ritmiche africane, che si sono trasmesse di generazione in generazione, finchè alcuni di noi le hanno attualizzate. Così la musica popolare ha assunto una nuova identità e si è fusa col jazz».
Anche suo padre lavrà influenzata.
«Sono stato un privilegiato; al Tropicana passavano tutte le grandi attrazioni e il bel mondo. Mi sono formato ascoltando Lecuona, Jesus Lopez, Lili Martinez, Peruchin».
E gli artisti americani?
«Li ho seguiti tutti, dai suoni legati al blues di Art Tatum alla classicità di Oscar Peterson, dalle invenzioni di Thelonius Monk alla classe di McCoy Tyner e Dave Brubeck».
Cosa vuol dire essere un jazzman?
«Il jazz è la libertà di esprimere le proprie idee attraverso un mix di composizione e improvvisazione: è un suono che non ha confini né limiti».
A Cuba il jazz non ha avuto vita facile.
«A Cuba si respira musica, magari non la chiamano jazz ma lo è. Io ho fondato lOrquestra Cubana de Musica Moderna, con Arturo Sandoval e Paquito DRivera, che sono diventati star internazionali e hanno militato anche in Ikerere. Poi la fortuna mi ha fatto conoscere in tutto il mondo».
Cosa pensa di Compay Segundo e dei supernonni di Buena Vista?
«Loro hanno fatto un meraviglioso lavoro di divulgazione del folk: hanno preso la tradizione cubana, le hanno messo labito di gala e lhanno trasformata in una moda universale».
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