La supertestimone adesso ha paura e ieri in tribunale non si è presentata

Le dichiarazioni che fornì alla polizia a poche ore dall’aggressione a Tor di Quinto, il 30 ottobre scorso, in cui venne uccisa Giovanna Reggiani, risultarono fondamentali per la cattura del romeno Romulus Nicolae Mailat, 24 anni, imputato per omicidio volontario. Ma ora il personaggio chiave nel processo Reggiani, la supertestimone Emilia Neamtu, ha paura ed è introvabile. Non si è infatti presentata in aula, ieri, dove davanti ai giudici della III corte d’Assise, presieduti da Angelo Gargani, è iniziato il processo ai danni di Mailat. Né gli investigatori sono riusciti a trovare tracce della superteste nel posto di massima sicurezza dove viveva. Il timore della Neamtu si riassume in quanto ha dichiarato il pm Maria Bice Barborini al termine della seconda udienza di ieri mattina: «Sapevamo dove era, ma adesso è irreperibile. Del resto una volta che c’è stato l’incidente probatorio, non possiamo limitare la libertà personale di una persona. Inoltre ci sono dei pericoli, come avete sentito, dalla trascrizione dell’incidente probatorio in cui la signora Emilia aveva già detto di aver timore per la sua vita». Nel corso dell’udienza si è inoltre provveduto a inoltrare all’autorità romena una richiesta di rogatoria internazionale con l’intento di ascoltare le testimonianze in videoconferenza del suocero di Mailat, Dorin Obedea, a cui venne contestato il reato di favoreggiamento per aver visto l’inizio dell’aggressione alla Reggiani per mano del romeno. Inoltre nell’udienza, il difensore di Mailat, Piero Piccinini, per avvalorare la tesi dell’«inattendibilità dei testimoni» ha richiesto l’audizione del titolare della clinica psichiatrica dove sarebbe stata ricoverata Emilia. Richiesta per cui il tribunale si è riservato di decidere. Sentito durante la seduta anche l’ispettore capo Alessandro Rongoni, in servizio al commissariato Ponte Milvio, che partecipò, il 31 ottobre - giorno dopo dell’aggressione - alla perquisizione della baracca dove viveva Mailat, sequestrando proprio all’interno del casotto, la borsa della Reggiani. E che, inoltre, recuperò lungo la strada alcuni indumenti che appartenevano alla vittima, tra cui un fermaglio per i capelli, uno stivaletto, un paio di mutandine e un giaccone intriso di sangue e fango.

Rongoni ha poi risposto alle domande del legale di Mailat che puntavano l’accento sul fatto che la sera dell’aggressione gli agenti non avessero apposto i sigilli alla baracca. L’udienza è stata aggiornata a lunedì prossimo, 6 ottobre, dove saranno interrogati altri cinque poliziotti.

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