Da tempo a Milano i sushi hanno soppiantato i mondeghili, le polpette della tradizione meneghina, ma come scrive Sara Ragusa, per leditore Terre di mezzo, libri.terre.it, «i locali giapponesi non sono tutti uguali e un sushi non vale laltro». Verissimo, a Milano si contano circa 200 insegne del Sol Levante, ma quelle autenticamente giapponesi faticano ad arrivare a 20 e solo la metà sono iscritte allAssociazione italiana ristoratori giapponesi, sito ilovejapan.it, per ora attiva solo allombra del Duomo. Tutte le altre sono a conduzione cinese con grande preoccupazione da parte delle autorità giapponesi per i livelli di igiene e la salvaguardia delle tradizioni.
«Pappa sushi», prezzo di copertina 5 euro, è la «Guida ai migliori ristoranti giapponesi di Milano» curata dalla Ragusa che ha selezionato 25 insegne, senza distinzioni tra ortodossi, generici e fusion come il Fingers del nippo-brasiliano Roberto Okabe. I posti sono stati selezionati anche per «latmosfera che si respira mentre si mangia». Bocciati così quei posti dove sei guardato male se uno «non entra al fianco di una stangona vestita allultima moda».
Meritano essere segnalati il Js Hiro in via Vittadini, perché «lambiente è casalingo, con jazz di sottofondo; piatto forte la zuppa di patate dolci»; lOsaka in corso Garibaldi, «per la presenza di due maestri di cucina come Ikeda Osamu e Shin-e Kenichi»; il Poporoya in via Eustachi, un classico dal 1977; il Ryu Sushi in piazza VI Febbraio, «nato da una costola di Fingers»; poi Kushi in via Morosini, per la versatilità delle proposte; Yoshi in via Parini, perché «è lanticamera del paradiso» e, infine, Yume in via Varesina, dove incontriamo «Marzia Ferri, una delle rare chef donna di cucina giapponese».