Milano«Interruzione di pubblico servizio». È questo il reato ipotizzato dalla polizia municipale di Napoli per i 441 tassisti partenopei denunciati per aver «occupato» dall11 al 17 scorso piazza del Plebiscito a Napoli contro il decreto sulle liberalizzazioni. Allidentificazione dei tassisti, secondo le prime indiscrezioni, si è arrivati attraverso una serie di riscontri incrociati sui turni di lavoro. Dovranno rispondere anche del mancato servizio notturno a tutela delle fasce deboli e del mancato preavviso al sindaco di 10 giorni, come prevede la normativa. A far partire la denuncia sono stati molti cittadini, ma anche alcuni tassisti, che sarebbero stati minacciati e aggrediti dai colleghi in rivolta.
A Milano invece i tassisti hanno scelto una strada completamente diversa contro lo spauracchio di unauthority nazionale che gestisca il servizio delle auto bianche. Niente scioperi selvaggi, niente cortei ma corse sospese fino alle 22 e solo un mega raduno di taxi, circa un migliaio, nel parcheggio di fronte alla stadio di San Siro. Tanto che gli autisti, per una volta, hanno perfino ricevuto i complimenti del prefetto Gian Valerio Lombardi per la correttezza della modalità della protesta. Il 20% delle auto bianche è rimasto in servizio per il cosiddetto trasporto sociale, riservato ad anziani, portatori di handicap e malati in possesso del certificato medico.
La protesta è stata civile ma la tensione resta alta. Per capire il clima che si respira fra i 5mila tassisti milanesi, basta dare unocchiata ai cartelli esposti sul parabrezza: «Siamo indebitati fino al collo», «Non siamo sudditi ma cittadini con cui trattare». Nel pomeriggio mini manifestazione spot di fronte alla sede di Assolombarda per dire: «Non vogliamo i taxi di Confindustria». La preoccupazione nasce dal fatto che nessuno ha letto la versione definitiva del decreto Monti. «Di fatto - spiega Raffaele Grassi, esponente Satam - non sappiamo cosa aspettarci, cosa ci sarà scritto e non abbiamo scongiurato alcun pericolo». Da qui la spinta a rilanciare il «modello lombardo»: gestione di licenze e tariffe in mano alla Regione, con cui peraltro è stata appena sottoscritta unintesa. Ed è la stessa Lombardia a chiedere un passo indietro al governo: «È inammissibile - dice il presidente del Consiglio regionale Davide Boni - che sia un organismo romanocentrico a esprimersi. Nessuna imposizione romana può essere accettata da chi è in grado di gestire il territorio di propria competenza». La protesta è dilagata in parecchie città dItalia e attorno agli aeroporti.
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