Tredici sentenze in una settimana. Tredici sentenze del Tribunale amministrativo lombardo che ha dato ragione a chi ha fatto ricorso per chiedere che la retta per le case di cura e di assistenza per gli anziani convenzionate con la Regione Lombardia fosse calcolata soltanto in base al reddito (dichiarazione Isee) del singolo e non su quello della famiglia. E stabilendo che la parte mancante della quota sia a carico dei Comuni. La giurisprudenza fa scuola e apre un precedente, a tal punto da rischiare di mettere in discussione il sistema che gestisce le Rsa. Dopo i casi del Tar di Brescia e prima ancora quelli della Sicilia e della Toscana, la possibilità di ricorre alla legge per ridurre le quote degli assistiti si sta espandendo a macchia dolio. «Tredici sentenze in una settimana sono un fatto politico che non può essere ignorato né dai Comuni né dalla Regione - spiega il presidente dellassociazione «Senza Limiti» per la tutela degli anziani non autosufficienti, Fulvio Aurora -. Sono il seguito di unaltra serie. In totale ce ne saranno una quarantina. Noi chiediamo che i Comuni modifichino il regolamento così come il Tar ha imposto».
Ma per i sindacati, lo scenario che si prospetta è allarmante. «Leffetto a pioggia è terribile - commenta Antonio Iodice, segretario regionale della Uil con delega a famiglia e sanità -. Se gli ospiti non sono in grado di sostenere quella retta, lo deve fare qualcun altro. E se i Comuni non possono pagare?». Non solo, le Rsa non si possono difendere: dopo uno, due, tre sentenze rischiano di essere condannati per lite temeraria. «Ma se i Comuni non hanno soldi, e la Regione non glieli dà, cosa si fa: lasciamo che lospite rimanga senza assistenza? Qualcuno deve rispondere.
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