In «Prova d'orchestra», il film girato da Federico Fellini nel 1979, un gruppo di strumentisti si ribellava a un direttore scorbutico e autoritario declamando slogan come «La musica al potere, no al potere della musica».
In «Sconcerto», lo spettacolo di Toni Servillo in cartellone al Piccolo Strehler dal 16 al 18 marzo, i ruoli sono invertiti, ma il messaggio non è poi tanto dissimile. A ribellarsi, infatti, è un direttore dorchestra che, una volta salito sul podio e inforcata la bacchetta, tenta di coordinare i suoi musicisti (nel nostro caso i concertisti dell'Orchestra dei Pomeriggi Musicali diretta nell'ombra da Marco Lena), ma dopo le prime note si interrompe, si gira verso il pubblico e imbastisce un discorso spiazzante che ha il sapore di una confessione, di un flusso di coscienza tra l'angosciato e il catartico. A che cosa si ribella il direttore? «Al baccano che tutti ci circonda e che sempre più ci impedisce di rintracciare una qualche traccia di senso in quanto facciamo», risponde Franco Marcoaldi, poeta e autore della drammaturgia dello spettacolo. «Se c'è ancora una chance di salvezza - prosegue Marcoaldi - sta in quel che dice il protagonista nella parte finale dell'opera: solo la vitalità del linguaggio musicale, allo stesso tempo astratto e concretissimo, può aiutare la nostra vita e la nostra lingua a uscire dalla sua ingorgata afasia».
Al suo debutto - che risale all'autunno del 2010 - «Sconcerto» venne letto come uno spettacolo politico, incentrato sulla critica alla società italiana, frastornata e inebetita dal potere dei media.
Oggi le cose sono decisamente cambiate. Così anche il suo valore sembra consistere, invece che nella denuncia di una situazione già ampiamente discussa, in quel messaggio dolente e accorato che appunto viene formulato sul palcoscenico poco prima del finale: nella speranza insomma che, a ridare senso alle parole, sia la vitalità della scena artistica e musicale, in grado di resistere anche in tempo di crisi.
Cè da sottolineare che il merito più grande di questo innesto tra una performance teatrale e un'anomala esibizione musicale sta soprattutto in Toni Servillo: è lui che - tra gesti, pause e respiri tipici di un attore che sa esprimersi virtuosisticamente con il proprio corpo - tiene incollate le parole alla musica, i frammenti di Montaigne e Gombrowitz agli echi di Kurt Weil.
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