Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitrij Shostakovich inaugura la Stagione d’opera 2025/2026 nella tradizionale serata di Sant’Ambrogio, il 7 dicembre 2025, preceduta dall’anteprima under30 il 4 dicembre, e seguita da sei repliche, dal 10 al 30 dicembre 2025.
L’esecuzione nel cinquantesimo anniversario della scomparsa del compositore, è stata fortemente voluta dal direttore musicale della Scala, Riccardo Chailly, alla sua dodicesima inaugurazione di Stagione che l’ha giustamente definita: «Una grandissima partitura inevitabile del Novecento», sottolineando come le difficoltà esecutive mettano in risalto l’impegno di tutta la compagine artistica scaligera.
Chailly ha sottolineato l’importanza di quest’opera che viene eseguita nella sua versione originale integrale, centralità non solo da un punto di vista storico perché fu oggetto di un clamoroso caso di censura totale per quasi trent’anni, dal 1936 al 1963, quando con non indifferenti rimaneggiamenti fu “riveduta”, ma soprattutto per la qualità stessa della partitura di un musicista allora solo ventiquattrenne, capace di realizzare un’orchestrazione all’avanguardia e di rara fattura: «In cui non si corregge niente, non si taglia niente, e che mostra nella scrittura un sapiente e innovativo uso della politonalità». L’altro lato del musicista che colpisce Chailly accanto alla destrezza tecnica è la conoscenza capillare del patrimonio delle melodie popolari russe, uno degli elementi determinanti lo straordinario successo che arrise a quest’opera nel primo anno e mezzo di vita, quando sulle maggiori scene di Mosca e Leningrado fu eseguita quasi duecento volte.
Il legame con la tradizione musicale russa è avvertibile attraverso un lavoro capillare in cui «Shostakovich accenna, ammicca, inserisce quasi a mosaico elementi riconoscibili». Anche per questo legame è forte il parallelismo con un altro grande capolavoro dell’opera russa, Boris Godunov, con cui Chailly ha aperto la stagione 2022.
Al regista russo Vasily Barkhatov, coadiuvato da Zinovy Margolin (scene), Olga Shaishmelashvili (costumi) e Alexander Sivaev (luci), è affidato uno spettacolo che afferma basato sulla capillare corrispondenza «fra una partitura cinematografica e l’azione scenica, che ci consente di rappresentare minuziosamente i personaggi dal punto di vista psicologico». Se la partitura, secondo il regista, oscilla «tra humor e tragedia cinematografica, tra l’assurdo, il realistico e il violento, noi facciamo lo stesso per salvaguardare l’intero contenuto della partitura».
Dunque si tratterà di un allestimento che non farà sconti al coacervo di violenza e sentimenti estremi del testo, seguendo l’affilata linea del “teatro di regia” tedesco che Barkhatov ammira fin dalla sua fase di apprendistato. Un allestimento che dovrà rispettare nella parte scenica il succedersi serrato dei quadri e delle situazioni, a prescindere dal fatto che non troveremo quella tipica immagine della società rurale di provincia di cui trattava l’autore della novella (Leskov) e i suoi “trascrittori” operistici (Shostakovich e il librettista Prejs). Perché nel teatro di regia, la tendenza dominante è quella di procedere all’attualizzazione o al deciso spostamento temporale del testo. Barkhatov ribadisce che come punto fermo c’è «l’idea che l’opera parli molto anche al presente e metta al centro il tema della libertà sessuale, perché la protagonista arriva al delitto non per follia, ma per desiderio di soddisfare i propri istinti».
Afferma ancora Barkhatov che la protagonista dell’opera, «Katerina, sta compiendo un delitto per la sua libertà e per la sua identità, ma rimane pur sempre un delitto. Proviamo a entrare nella sua mente: Katerina ha bisogno di fare questo, non ha altro modo di fuggire da una costrizione. Ma quando diventa cosciente del tradimento del suo amante, nel bagno penale finale in Siberia, realizza di aver commesso nient’altro che un omicidio, capisce di essere diventata un mostro, capisce di non aver fatto niente di buono».
Non rimane che attendere l’alzata del sipario!