Non era facile eccepire sulla bellissima serata e sull'imprevisto successo della Prima scaligera di domenica sera, anzi, serviva impegno: ma lasciando da parte gli harakiri di Federico Mollicone (presidente della commissione Cultura della Camera) la capriola stilistica è riuscita appieno a La Stampa, rimasta sola nel collegare anche l'unica opera di Shostakovich a un presunto regime che soffocherebbe le velleità culturali di questo Paese. C'è peraltro da chiedersi, per non essere scorretti, quanto sia giusto colpevolizzare l'intero quotidiano torinese per via della percussiva e perdurante campagna di un solo giornalista melomane, Alberto Mattioli, personaggio che sarebbe anche simpatico se non guardasse Domineddio dall'alto in basso: ma anche dall'Empireo capita di scrivere sciocchezze (nel caso) sonore.
In ben due articoli nello stesso giorno («Scala minore» più un altro su «dove sta andando il Paese») Mattioli si è fatto prendere dalla fretta ed è giunto a incasinare, per cominciare, la storia delle Lady Macbeth di Shostakovich alla Scala, di cui ha scritto come se la versione originale del 1932 fosse di casa mentre a Milano non si era mai vista, e come se le Macbeth che cita lui (1964, 1992, 2007) fossero la stessa opera e versione: in pratica ha confuso Katerina Izmailova con Lady Macbeth (una Prima con una ripresa, un titolo con un altro) pur di inventarsi un «già fatto» che non era stato fatto, il che serviva a far riuscire la sua maionese. Quisquilie da melomani. Passiamo alla maionese, questa: prendere una serata che non dà appiglio politico ergo inventarsi, appunto, l'appiglio politico, anche se è già passata alla storia per l'assenza di politici. E dunque: evocazione rituale del regime, aria che «cambierebbe» e un passaggio iconoclasta: un parallelo indiretto tra il ministro Giuli e Stalin e poi tra il sottosegretario Mazzi e Zdanov, in scia con chi pensa che «l'opera sia una bella serata di gala con il brindisi della Traviata cantato da Bocelli e diretto da Venezi». L'ha scritto Mattioli a margine della sfida più impopolare e di minoranza che era possibile (Shostakovich alla Prima) che peraltro è stata imprevedibilmente vinta come davvero pochi si attendevano: ma forse, domenica sera, il nostro deve averlo capito anzitempo, perché si aggirava in platea con gli angoli della bocca all'ingiù.
Ovvio: saremmo disonesti se non citassimo il lievissimo preconcetto di Mattioli contro l'attuale governo o regime, se c'è differenza; già nel 2024 il nostro melomane pubblicò il pamphlet Destra maldestra, la spolitica culturale del governo Meloni (casa editrice in zona Travaglio) dove accusava l'esecutivo di «occupare poltrone» con ministri «mediocri» e una politica culturale di destra che «non esiste». Ha poi scritto un impressionante numero di articoli sul caso Venezi (non li contestiamo: li annotiamo) contrapponendo sempre questo governo ai lavoratori delle fondazioni e a una «minoranza acculturata» mal rappresentata ovviamente dal pubblico scaligero della Prima, che domenica sera ha applaudito con insolenza anche se «ha scoperto Shostakovich per l'occasione» (e se anche fosse?) con un regista a cui «piace piacere» in questo convulso «spettacolone» che il nostro ha trattato come una colonna sonora della Pixar.
È il «Retour à l'ordre», scrive Mattioli. Non c'è malevolenza: non c'entra niente quel suo articolo del febbraio 2021 in cui scrisse che Giorgia Meloni viveva «sensi di colpa perché la politica la tiene lontana dalla figlia... prodotta con la collaborazione del compagno... Questa postfascista modello Dio, Patria e famiglia è pure a suo modo una femminista». Non c'entra niente, perché Mattioli si è scusato, e ha costretto a farlo anche la direzione de La Stampa: e non si dica che l'abbia fatto solo per la reazione sdegnata dell'intero arco giornalistico e parlamentare, Mattioli era sincero. Insomma, non confondiamo le colpe dei figli con quelle delle loro testate, lasciamo ben stagliata la libera opinione di Mattioli rispetto al nulla cosmico in cui è riecheggiata.
Ogni libera opinione è necessaria e questo giustifica il presente articolo: anche quando si prefabbricano gli articoli e una parte dalla realtà, salvo poi scartarla e sostituirla con la propria, in sostanza facendo dire, a una bellissima serata alla Scala, il contrario di ciò che la Scala ha detto.