
È morta l’altra nel sonno, a Roma, Adriana Asti. La grande attrice aveva 94 anni e da una ventina di giorni era ricoverata in una clinica di Roma, Villa Salari. Nata (come Adelaide Aste) a Milano il 30 aprile 1931, Adriana Asti aveva lavorato con i registi più grandi del cinema e del teatro del nostro Paese, da Strehler a Visconti, da Bertolucci a Ronconi. In seconde nozze aveva sposato il regista Giorgio Ferrara, morto due anni fa. I funerali si terranno domani, alle ore 11, nella Chiesa degli Artisti in piazza del Popolo a Roma.
Sguardo indimenticabile, un piglio che in scena la rendeva protagonista sempre e comunque, una vita per il palcoscenico, ma anche per il cinema e per la cultura: è morta nel sonno a 94 anni nella clinica Villa Salaria a Roma dove era ricoverata da alcuni giorni Adriana Asti, nata Adelaide Aste a Milano il 30 aprile 1931.
Educata in un collegio di suore tedesche, fu per il teatro che fuggì dalla una famiglia borghese a 17 anni, convinta da Romolo Valli a seguire la compagnia del 'Carrozzone' di Bolzano: la vide Strehler ed entrò al Piccolo. Minuta, con un look alla maschietta, si sentiva lontana dai modelli divistici di quegli anni («Il medico che mi fece nascere nel vedermi esclamò: Uh, che muster d'una tusa!, che mostro di bambina!») eppure proprio per questo comprese da subito che il teatro era ben altro e ben oltre: parola cui lei dava carne in modo perfetto e luogo dove sentirsi a casa, protetta.
Si formò con i grandi maestri: Memo Benassi, Lilla Brignone, poi appunto Romolo Valli e Luchino Visconti. Se già nel 1952 aveva debuttato con Strehler a Milano nell'Elisabetta d'Inghilterra di Bruckner e poi in tv con Silverio Blasi in Partita a quattro, fu proprio Visconti a offrirle nello stesso anno Il crogiolo di Arthur Miller e poi il primo ruolo importante al cinema in Rocco e i suoi fratelli, nel 1958. In una intervista raccontò che Visconti le suggerì quel suo movimento alla Duse, ovvero il gesto di passarsi una mano tra i capelli: «Ma io quel trucco l'avevo già imparato da Memo Benassi, un gigante».
Il sodalizio teatrale con i grandi registi milanesi arrivò ai primi anni '70, attraversando capolavori di Natalia Ginzburg, Harold Pinter e Pirandello, mentre nel frattempo si introduceva, intelligenza vivace, colta, arguta, di evocativa ambiguità, nel mondo intellettuale, di cui fu grande motore ispirazionale: Cesare Musatti, che la curò, scriverà una commedia per lei e così anche Natalia Ginzburg, Ti ho sposato per allegria, 200 repliche nel 1966, mentre Susan Sontag allestì per lei un Come tu mi vuoi di Pirandello. Coltivò un'amicizia unica con Pier Paolo Pasolini e una relazione decennale con il giovane Bernardo Bertolucci, che le aprirono le porte del miglior cinema d'autore: prostituta nel primo Pasolini di Accattone, zia protagonista cui deve essere riconoscente il nipote in Prima della rivoluzione di Bertolucci, allora appunto suo compagno. A nozze invece andò, in un matrimonio di soli due anni, con lo scrittore Fabio Mauri, mentre debuttava con l'indimenticabile Maria Brasca di Testori al Franco Parenti con la regia di André Shammah, che le dedicò un recital biografico, Memorie di Adriana, e che commenta così la sua scomparsa: «Grazie Adriana Asti! Una grande attrice che ha dato un vero sprint alla mia vita e alla mia carriera».
Fu protagonista al cinema di titoli che segnarono una intera generazione di spettatori cinematografici, sia colti - I visionari di Maurizio Ponzi, Metti una sera a cena di Giuseppe Patroni Griffi, Ludwig sempre con Visconti, Il fantasma della libertà di Luis Buñuel - , sia più popolari, grazie alle collaborazioni con Flavio Mogherini, Marco Vicario, Mauro Bolognini e Vittorio De Sica, sia provocatori, come per il Caligola di Tinto Brass. All'inizio degli anni '70 incontrò il suo secondo marito, Giorgio Ferrara, durante la tournée americana di Orlando furioso di Luca Ronconi. I due si innamorarono, si sposarono, lui ben più giovane di lei, nel 1982, e Ferrara la diresse nel film Un cuore semplice (1977) e a teatro in Trovarsi di Pirandello. Humour e spirito anticonformista la videro anche collaborare con un'altra straordinaria figura femminile dello spettacolo, milanese come lei («Milano è una città per cui la sola idea di sapere che esiste mi conforta»), Franca Valeri, con cui fu spesso in una sintonia che era di spirito e intenti, ma anche di epoca e cultura, vicinanza artistica culminata nel film Tosca e altre due. Sempre al cinema Marco Tullio Giordana la volle in Pasolini, un delitto italiano (1995) e nel ruolo della madre in La meglio gioventù (2003), che le valse Nastro d'argento e Globo d'oro. La sua ultima apparizione cinematografica fu in Nome di donna nel 2018 nel ruolo di una ex attrice malinconica.
In televisione conquistò la popolarità con sceneggiati quali La fiera della vanità di Anton Giulio Majano, I Nicotera di Salvatore Nocita e Sabato sera dalle nove alle dieci di Ugo Gregoretti. Fu anche doppiatrice di Lea Massari, Claudia Cardinale e Catherine Spaak. Ma non abbandonò mai il teatro: dal sodalizio con il Festival dei Due Mondi di Spoleto diretto per tredici anni, dal 2008 al 2020, da suo marito Giorgio Ferrara - con Giorni felici di Beckett diretto da Bob Wilson nel 2010 a Old Times di Pinter, La locandiera di Goldoni e con Ronconi in Danza macabra.
Il ministro Alessandro Giuli la ricorda così: «L'Italia perde una delle sue interpreti più intense e raffinate», mentre Giuliano Ferrara commenta: «Adriana è stata una splendida attrice e una persona indimenticabile». Ben la raccontano il documentario di Rocco Talucci del 2015 e la sua autobiografia Un futuro infinito (Mondadori), del 2017, in cui scriveva: «Si deve cominciare dall'infanzia? Si deve andare in fila? È più facile.
Perché se si vogliono ricordare le cose più recenti, a volte è impossibile. Non si sa nulla del passato prossimo, mentre il passato remoto è impossibile dimenticarlo. Spero promitto iuro vogliono l'infinito futuro. E io voglio un futuro infinito».