«Tempi non maturi» La Casa comune aprirà tra un anno

Decisivi i consiglieri di Berlusconi. Il Cavaliere: gli alleati credono nel progetto, ma è meglio arrivarci per gradi. Un sondaggio rivela: oggi, col partito unico, il centrodestra avrebbe perso il 13 per cento

Fabrizio de Feo

da Roma

«Vi ricordate come l’avevo posto qualche mese fa quando dissi che avrei fatto ciò che era più opportuno per conseguire una vittoria? L’opinione di Follini, Casini e Fini è stata tranchant a questo riguardo: basta, non ne parliamo più, sei il candidato per il 2006 e non si discute più su questo argomento». Silvio Berlusconi parla chiaro alla fine del pranzo con gli alleati di governo. Racconta l’andamento del colloquio. E fa capire che sul candidato-premier si è arrivati a una decisione condivisa in maniera del tutto naturale. Il ragionamento fatto con i suoi collaboratori è semplice: «Io ho messo sul tavolo la mia candidatura, mi sono messo in discussione. Ho chiesto di trovare un candidato vincente e condiviso. Gli alleati hanno deciso di concedermi la loro fiducia». Come dire che il discorso-candidatura, se mai è stato aperto, ora si chiude in maniera definitiva e il «tempo della verifica» lascia spazio al «tempo della politica».
D’altra parte sul fronte della leadership era fin troppo evidente che nessun altro candidato si stava facendo avanti per guidare la coalizione. La corsa a sgomitare per il ruolo da candidato premier, insomma, non c’è stata e tanto Gianfranco Fini quanto Pier Ferdinando Casini hanno giudicato i tempi «non maturi» per tentare il grande salto. Se il colpo di scena sulla leadership provoca lo stupore di pochi, ben altro effetto produce la frenata improvvisa, il secco «stop» dettato dal premier sul partito unico. È lo stesso Berlusconi ad affrontare l’argomento, nel pranzo dei leader, e a dire a chiare lettere a Fini, Follini e Casini che «no, per ora non si può fare, bisogna svilupparlo nei tempi giusti perché altrimenti rischiamo di pagare un prezzo elettorale troppo alto. La situazione consiglia gradualità. Ora pensiamo a vincere le elezioni». Tutto come prima, insomma: le liste che correranno al proporzionale saranno, disgiuntamente, tutte quelle che aderiranno alla Casa delle libertà: Forza Italia, An, Udc, Lega e i partiti più piccoli, come nelle passate elezioni e in quelle prima ancora. D’altra parte lo stesso Fini sollevando un aspetto anche «mediatico», aveva sottolineato l’esigenza di «aumentare l’offerta, come fa l’Unione, che non si presenta più con una lista unitaria» per aumentare il consenso. «Dobbiamo andare a recuperare il voto degli indecisi» spiega il leader di An «e in questo senso il partito unico non aiuta».
La «Casa comune», il «Partito Unico» o «Unitario», almeno per le elezioni del prossimo anno, non ci sarà. Non si tratta di un addio, ovviamente, ma soltanto di un arrivederci visto che dopo l’appuntamento elettorale se ne riparlerà. D’altra parte in molti dentro il centrodestra ammonivano che «la gatta frettolosa fa i gattini ciechi». Un proverbio usato per descrivere una realtà immodificabile: il tempo, da qui al 2006 per far maturare una grande novità politica, quella del partito unico, non c’è. Gli stessi consiglieri del premier, da Fabrizio Cicchitto a Claudio Scajola a Gianfranco Miccichè, avevano illustrato a Berlusconi tutte le difficoltà della sfida unitaria, con la sola eccezione di Ferdinando Adornato, da sempre grande sponsor del progetto. E lo stesso presidente del Consiglio aveva visionato sondaggi su una possibile perdita di consensi del 13%, qualora la Casa delle libertà avesse rinunciato ad apporre sulla scheda del proporzionale i simboli dei partiti. Un rischio di dispersione del voto troppo forte per non avviare una seria riflessione sulla «casa comune».
Il tentativo di «sorpasso» unitario nei confronti del centrosinistra è dunque fallito. Ma non è detto che questo sia un problema dal punto di vista elettorale, anzi. Il ragionamento che viene fatto a Palazzo Chigi si concentra sul messaggio comunicativo suscitato da questo dibattito. «Il partito unico si farà e tutti i partiti hanno concesso la loro adesione. Quindi l’immagine complessiva del centrodestra esce rafforzata dal punto di vista della coesione» spiega un dirigente azzurro. «Il centrodestra ha posto le fondamenta per questo progetto ma vuole tagliare questo traguardo nel miglior stato di salute possibile. Il simbolo pluri-composto non sarebbe stato praticabile perché l’elettore chiede simboli semplici e univoci e graficamente ben riconoscibili.

Il disorientamento di fronte alla novità ci avrebbe provocato più danno che altro. Invece abbiamo il dovere di giocare al meglio la partita per non lasciare il Paese in mano alla sinistra. Siamo appaiati e non possiamo permetterci di commettere errori gratuiti».

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