Il tempo è denaro. Anche quando si punta

Mai come durante il Mondiale di calcio le notizie sono di fonte incerta. Così il nostro 1,55 dell’Italia vincente sulla Slovacchia giovedì pomeriggio si trasforma subito in un 1,90 su improbabili «mercati asiatici». E così si perdono ore a navigare sul web confrontando mille operatori invece di concentrarsi su «cosa» scommettere, cioè l’unica arma per battere il bookmaker. L’anno scorso il premio Nobel per l’economia è andato all’americano Oliver Williamson, noto al di fuori della cerchia accademica per le teorie sui cosiddetti «costi di transazione». Applicandola al mondo delle scommesse sportive, potremmo così brutalmente sintetizzare la sua opera: il tempo e la fatica necessari per valutare le differenze fra i vari bookmaker sono superiori al beneficio che si ricaverebbe scommettendo ogni tanto ad una quota migliore. A questo va aggiunto il normale riversamento degli operatori professionali: se il bookmaker italiano Piripicchio quotasse l’Italia a 1,55 e sul famoso mercato asiatico il bookmaker Chang la desse a 1,90, Piripicchio dovrebbe alzare la quota per non andare fuori mercato nei confronti dell’utenza evoluta e riversare su Chang le giocate a 1,55 di quella meno evoluta assicurandosi contro ogni rischio.

Va da sé che le quote asiatiche in questo caso si abbasserebbero in maniera veloce, quasi sempre più veloce rispetto alla capacità di noi dilettanti di trarre vantaggio dalla situazione. Conclusione: occhio alle opportunità ma anche alle perdite di tempo. Perché, come fa capire Williamson (ma lo diceva anche nostra nonna) il tempo è denaro.

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