Cultura e Spettacoli

Tenera «Sancta Susanna» Ma che fiasco «Il dissoluto»

Particolare l’opera di Hindemith; imbarazzante la lettura del libretto di Saramago

Lorenzo Arruga

da Milano

Scrivo con tenerezza di Sancta Susanna, la storia della suora che voleva far l’amore col Crocifisso, presentata alla Scala venerdì sera. Gli operisti del secolo scorso si sono spesso appassionati alle suore uterine e assatanate: piaceva loro far pullulare e gorgogliare gli strumenti e strusciare le voci stupefatte. Prokofiev nell’Angelo di fuoco del 1955, Penderecki nei Diavoli di Loudun del 1969. Anche l’austero, aguzzo maestro Paul Hindemith ne fu attratto nel 1922, e scrisse appunto questa Sancta Susanna, che all’inebbriante profumo dei lillà prova un tale impulso ad unire misticismo e sesso da finire murata viva, come si usava con le profanatrici.
«Carnale come Hindemith» non lo dirà mai nessuno; ma egli ha un tale senso delle forme esatte ed una tale civiltà dei rapporti fra i gruppi strumentali che può esprimere eccessi e turbamenti con sapienza. Alla Scala, tanto per far accadere qualcosa, hanno installato un gran quadro all’antica con Crocifisso tra le rocce, suggestivamente creato da Alessandro Ciammarughi, vi hanno inserito una coppietta nuda che fa ciupi-ciupi con calma conventuale e han fatto andare su e giù rocce e lucine (mah). Tatiana Serian, generosa protagonista, Brigitte Pinter e Annamaria Chiuri hanno mugolato correttamente, sommerse dall’uso massiccio dell'orchestra.
Scrivo con dolore de Il dissoluto assolto, soggetto e libretto di José Saramago, il noto romanziere portoghese di cui si ostenta un premio Nobel nel pedigree, e musica di Azio Corghi, autore d’opere impegnative di successo, maestro amato, indiscusso e indiscutibile. Davanti al grande mito di Don Giovanni, Saramago, che fa il Corrosivo ufficiale, ha pensato di ribaltare la valutazione, dandolo non più per punito ma per assolto; è però ricorso al mediocre espediente di svalutare e involgarire tutti gli altri personaggi e di creare non una storia con persone vive ma uno snocciolamento di sentenze. Corghi è partito da Mozart, citando e parodiando la partitura del Don Giovanni alla buona, e poi ha appiccicato le sentenze in una drammaturgia fai-da-te, con declamazione fra Berg e Pizzetti e una strumentazione densa ed eloquente. Agli autori deve non aver giovato credere d’aver l’obbligo di dire cose intelligenti e memorabili.
La regìa, cone in Hindemith, è di Patrizia Frini, «da un’idea originale di Giancarlo Cobelli», ma nella banale sfilata di personaggi non si vede dove siano regìa e idea. Cantano comunque, con fioca enfasi e anche qui sopraffatti dal direttore Marko Letonja, sul podio tutta la sera, Vito Friante, Julian Rodescu, Roberto De Candia e altri; parlano con birignao ahi la solitamente amabile Sonia Bergamasco, Sonia Barbadoro, Marco Lazzara. Applausi corretti per tutti, ma per gli autori molti bùu.

Per ripararsi non bastava l’ombrello della cultura.

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