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Campione, playboy, poeta: le molte vite del tennista Guillermo Vilas

Il tennista sudamericano più grande di sempre, Guillermo Vilas, sapeva infrangere cuori e comporre versi: un personaggio totale capace di dominare gli anni Settanta

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Campione, playboy, poeta: le molte vite del tennista Guillermo Vilas

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Il giorno di Natale del 1958 aveva soltanto sei anni. Era sceso in salotto con gli occhi sognanti, fremente. Voleva scartare i suoi regali. Tra tutti, sotto l'albero, ce n'era uno dalla forma allungata. Il piccolo Guillermo Vilas aveva cominciato a strappare la carta, poi aveva estratto l'oggetto. Era una racchetta da tennis. Gliela aveva donata suo padre. A Mar del Plata, provincia costiera di Buenos Aires, era più facile che i ragazzini pensassero al calcio. Ma quel regalo lo aveva già segnato nel profondo. Avrebbe fatto il tennista. Doveva fare il tennista.

Non sapeva ancora, Guillermo, che in futuro sarebbe stato anche molte altre cose. Il fisico scolpito ed un volto seducente lo avrebbero depositato dritto in fondo al cuore di migliaia di ragazze, in giro per il globo. Ma non c'era solo questo, anche se certo non era mica poco. Vilas detestava le transenne emotive. Preferiva esprimersi, anche a costo di denudare i suoi lati più vulnerabili. Così, ad un certo punto, si sarebbe messo a comporre versi. Scriveva poesie senza pretese sull'amore, l'amicizia, la vita. Era un playboy, ma anche il poeta della Pampa.

Negli Settanta, però, l'Argentina intera lo venerava per un'altra ragione. Era diventato un tennista capace di lottare per il gradino più alto del podio in una piscina infestata da grandi predatori. Doveva vedersela con i Borg, i Connors, i Nastase e i Mc Enroe. Con il suo stile ruvido, asciugato da inutili frivolezze, era riuscito ad arrivare ad una incollatura dalla prima posizione nel ranking. Anzi, secondo alcuni l'aveva centrata, ma non gliela riconobbero mai, a dispetto delle caterve di documenti prodotti per dimostrarlo. Pragmatico, ma anche capace di esplosioni creative. Viene di fatto considerato l'inventore del disperato colpo con cui si fa passare la racchetta sotto le gambe. Lui lo ribattezzò Gran Willy.

Partì incerto, come sempre succede quando ancora sei acerbo, ma perfezionò il suo stile. Fu tra i primissimi a inventare quella speciale risposta arrotata che metteva in crisi gli avversari, perché alla pallina veniva impresso un effetto beffardo. E poi la sua muscolatura debordante gli consentiva di impostare uno stile di gioco perennemente ribaldo, con bordate in top-spin che infrangevano sovente le speranze altrui. Oltre alla tecnica però, c'era un fattore più dirimente. Vilas esondava carisma. Non aveva nessuna paura di perdere. L'allenatore che gli fece alzare l'asticella, Tiriac, di lui disse: "Nel tennis ci sono giocatori che hanno paura di perdere. Vilas no. Vilas ha quasi paura di vincere".

Vilas trionfa al Roland Garros 1977
Il trionfo al Roland Garros 1977 (wikipedia)

Il suo primo squillo giunse nel 1974, quando a Melbourne conquistò il Master del 1974 sconfiggendo Nastase. Un anno dopo arrivò in finale al Roland Garros, ma Borg lo regolò. Della terra rossa sarebbe comunque diventato indiscutibile monarca: ancora oggi è il tennista con il maggior numero di vittorie sulla terra battuta (681) da quando è stata inaugurata l'era Open. La stagione che consacrò il nitore del suo tennis fu quella del 1977. Arrivò in finale all'Australian Open, cedendo contro Roscoe Tanner. Poi infilò una sfilza di successi in trofei di medio cabotaggio, disputati in preparazione di Parigi, dove vinse anche grazie all'assenza di Borg. A Wimbledon invece le cose andarono maluccio: sbattuto fuori al terzo turno. Ma da lì in poi infilò una striscia record di 46 vittorie filate, alzando contro il cielo anche l'US Open, in finale contro Borg.

Infilandosi negli anni Ottanta, la sua carriera sarebbe andata progressivamente degradando. C'erano però, si diceva, anche quelle altre passioni. Fece strage di cuori tra donne dell'alta società che lo adoravano, la più celebre delle quali fu senz'altro Carolina di Monaco. Le sue poesie non sfondarono mai, ma furono comunque un caso: non era semplice trovare uno sportivo di quel livello impegnato in un'area semantica così differente. "Non è stato un lavoro facile - disse in seguito - dato che non ho potuto ricevere né consigli né guida a causa del mio continuo peregrinare per il mondo. Inoltre non ho voluto leggere molto per non farmi influenzare dallo stile altrui”.

Si ritirò nel 1989, alquanto appagato dalla sua esistenza tennistica, e anche da tutte quelle altre.

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