Gela (Caltanissetta)La separazione dal marito, i due figli che secondo i vicini di casa avevano entrambi problemi di autismo, la solitudine. Tutti questi fattori sarebbero la causa scatenante della decisione estrema di una donna che avrebbe tentato il suicidio dopo avere affogato i suoi bambini. Una tragedia della follia e della disperazione avvenuta a Gela, in provincia di Caltanissetta, dai contorni ancora poco chiari. «Venite a prendermi ho ucciso i miei figli», ha sussurrato Vanessa Lo Porto, 31 anni, ai carabinieri chiamati con il cellulare, dopo essere riuscita a tornare a riva. «Non me lo sarei mai aspettato», ha urlato tra le lacrime il padre dei piccoli, Marco DAugusta, un operaio di 42 anni, andato via da casa circa sei mesi fa.
Luomo è rimasto a lungo davanti alla spiaggia nella speranza di ritrovare ancora in vita il più piccolo dei suoi figli. Finora infatti è stato recuperato dalle motovedette della guardia costiera solo un cadavere, quello di Rosario, di nove anni. Il corpo di Andrea Pio, il fratellino di due anni, è invece rimasto in balia delle onde nel mare di fronte alla spiaggia di Torre di Manfria: una località balneare a circa dieci chilometri da Gela. Sino a sera sono proseguite le ricerche, con lausilio di motovedette ed elicotteri della guardia costiera, della guardia di finanza, dei carabinieri e dei vigili del fuoco. Le condizioni proibitive del mare hanno però ostacolato le operazioni. Vanessa Lo Porto, arrestata con laccusa di duplice omicidio aggravato, è adesso ricoverata in stato di choc, piantonata dai carabinieri, nellospedale Vittorio Emanuele di Gela. Secondo una prima ricostruzione degli investigatori - le indagini sono coordinate dal pm Monia Di Marco - la donna prima ha affogato i suoi figli in mare, poi è riuscita faticosamente a ritornare a nuoto sulla terra ferma. Saranno adesso le indagini ad accertare se la giovane abbia desistito dalluccidersi allultimo momento per istinto di sopravvivenza o se invece avesse deciso di annegare i figli senza alcuna intenzione di farla finita. Dubbi che non sono stati ancora dissipati.
La donna viveva nel quartiere Cantina sociale: un agglomerato urbano sorto senza alcun piano regolatore dopo lapertura del petrolchimico dellEni, costruito negli anni cinquanta su iniziativa di Enrico Mattei. Una zona abitata prevalentemente da lavoratori della zona industriale. Operai come i genitori di Vanessa Lo Porto che «hanno sempre aiutato la figlia ad andare avanti» raccontano i vicini. La giovane, capelli scuri e occhi chiari aveva scritto una settimana fa, il 16 aprile, nel suo profilo del social network Facebook, una frase che non lasciava presagire il gesto compiuto oggi. E che anzi inneggiava alla speranza.
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