N el groviglio di ricette con cui il governo affronta i problemi dell'immigrazione islamica, c'è qualcosa che appare sempre più evidente: ad uscirne con le ossa rotte è proprio il principio che dovrebbe ispirare e guidare tutte le nostre azioni, la salvaguardia della nostra identità. Prendiamo quelli dell'Ucoii, i padroni delle moschee italiane. Sanno perfettamente qual è la loro identità e se la tengono ben stretta. Sottoscrivono finalmente la Carta dei Valori dopo mesi di estenuanti tira e molla però ci aggiungono un breve comunicato in cui dicono: guardate che la Carta non è un testo sacro e inviolabile come il Corano da cui discendono le nostre leggi, per noi quindi è suscettibile di modifiche, di aggiunte e di libere interpretazioni. Insomma, Carta o no, stanno ben attenti a difendere quello che sono: per lo più estremisti, per lo più poligami e dissimulatori e per lo più accaniti sostenitori di quella inferiorità genetica della donna che per l'appunto sta scritta nel Corano e quindi non può essere messa in discussione. E infatti si guardano bene dallo spiegare cosa ci faranno della Carta: la diffonderanno parola per parola nelle moschee? Ne parleranno nelle scuole coraniche, nei loro sedicenti centri culturali o la lasceranno ammuffire negli archivi del Ministero dell'Interno? Occupiamoci ora di noi che dovremmo avere a cuore, almeno quanto l'Ucoii, il senso della nostra identità, se non altro per ragioni di sicurezza o per prepararci un futuro dai contorni un po' meno incerti. E guardiamo agli avvenimenti di questi ultimi giorni, a cominciare dalla battuta del ministro Amato sulle tradizioni siculo-pakistane della violenza sulle donne. Battuta infelice ma non tanto perché offende questo o quello ma perché l'unica risposta possibile alla violenza sulle immigrate dovrebbe essere quella di sottolineare il significato delle nostre radici cristiane e dire a chiare lettere che una violenza incoraggiata dalle leggi coraniche e giustificata nel nome dell'Islam è solo una barbarie. E invece, con un'elegante inversione delle parti, ci preoccupiamo di denunciare come ci siano ancora troppi cristiani che nutrono nei confronti del mondo islamico diffidenza e sospetto. E pazienza se così il cittadino comune si smarrisce e perde il senso di sé stesso e della sua storia. Oppure guardiamo all'iniziativa del ministro Ferrero di far svolgere nelle moschee dei corsi d'istruzione per gli immigrati. Basterebbe il fatto che i corsi erano separati, le donne da una parte e gli uomini dall'altra, per capire quanto siamo bravi e solleciti nell'abdicare senza battere ciglio a quelli che dovrebbero essere valori non negoziabili della nostra concezione di una società libera e democratica. Con questa iniziativa, ha puntualizzato magistralmente sul Giornale Gaetano Quagliariello, si certifica ufficialmente che lo Stato laico in cui ci riconosciamo rinuncia alle sue prerogative nel settore fondamentale della formazione di quelli che si spera possano essere i nostri concittadini di domani. Diventa niente più che un ingombro da sacrificare al malinteso rispetto «di tradizioni e costumi spesso in contrasto con la dimensione universale dei diritti dell'uomo». O ancora guardiamo al problema degli imam, gli ambasciatori del Corano nelle nostre moschee. In tutta Europa si sta cercando di mettere riparo ai guasti provocati dagli eccessi del multiculturalismo con una semplice parola d'ordine: basta con gli imam d'importazione che arrivano chissà da dove e predicano chissà che cosa. È necessario invece, che essi siano il più possibile espressione della comunità nazionale e che sappiano condividere principi e regole dei paesi che li ospitano. Quindi: corsi obbligatori di formazione per tutti, e non nelle moschee ma presso le università, e con un attestato di idoneità a svolgere la propria funzione che viene rilasciato al termine dei corsi da un'apposita commissione. In Germania li conducono anche a visitare chiese e sinagoghe perché non ci siano equivoci su quello che gli viene richiesto. E noi? Viaggiamo, come sempre, con anni luce di ritardo. Agli imam di casa nostra continuiamo a regalare moschee sempre più faraoniche dove esaltare la loro identità, figuriamoci se pensiamo di chiamarli a rispettare la nostra, e non a chiacchiere ma nei fatti.
Stando così le cose, ho consigliato alle amiche dell'immigrazione musulmana di tirar fuori dalla Carta dei Valori una sintesi dedicata alle donne e di prendersi l'impegno di diffonderla nelle comunità e davanti alle scuole e alle moschee.
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