Tettamanzi: «Tre medicine per la politica»

«La Resurrezione deve nascere e crescere dentro ciascuno di noi, come riconoscimento che c’è una parte che dipende da noi, dal nostro impegno e della nostra responsabilità» spiega il cardinale Dionigi Tettamanzi nella sua “omelia” pasquale su SkyTg24, intervistato da Maria Latella. Va oltre dal pulpito del Duomo nel giorno di Pasqua: «Il nostro martirio quotidiano è la fatica, il prezzo da pagare per la coerenza tra la fede e la vita nei gesti delle nostre giornate».
L’arcivescovo in tv offre le sue ricette per la politica malata. Sono tre: verità, giustizia e solidarietà. Fa una premessa: «Dobbiamo dire che tutti siamo malati e tutti abbiamo bisogno della medicina. Certo, per chi ha responsabilità sociale e politica, la malattia diventa più deleteria e si fa più urgente la medicina». Un’urgenza è «essere veri e sinceri», poi la giustizia cioè «riconoscimento di diritti a cui sono collegati doveri», terzo la solidarietà «perché l’essere umano non può essere abbandonato al proprio egoismo». Non esiste una vera e propria priorità, perché «sono tre pilastri profondamente collegati tra di loro».
Risponde anche sul tema degli immigrati, che in questo periodo sbarcano in massa sulle coste italiane e mettono alla prova la tradizionale accoglienza italiana. L’arcivescovo fa i complimenti agli italiani per la grande disponibilità e generosità dimostrata: «Sono tanti coloro che si danno da fare. L’Italia si è espressa e continua a esprimersi come un Paese che fa tanto». Concorda con il segretario di Stato Vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone, e il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, che hanno chiesto l’intervento dell’Ue: «È legittima e doverosa la richiesta dall’Unione europea. Per noi la strada da seguire è mostrare che noi la nostra parte la facciamo».
Attenzione, come sempre, alle difficili condizioni di coloro che sono costretti a vivere in una terra lontana e diversa dalla propria, ovvero in Italia invece che a casa propria. «C’è una profonda convergenza tra la Pasqua ebraico-cristiana e la Pasqua dei migranti che lasciano i paesi del Nord Africa e sono alla ricerca di un luogo dove ritrovare la libertà e superare la schiavitù» dice l’arcivescovo.

Spiega: «Penso alla schiavitù legata alle condizioni miserevoli di vita, penso ad una schiavitù ancora più pesante, quella della passività nel senso di non poter esprimere la propria responsabilità nel partecipare alla crescita del proprio popolo».

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