
Nel 1904, per La Nuova Rassegna di Firenze, Ettore Allodoli scrive un ispirato profilo di Thomas Chatterton (1752-70). Il poeta morto per scelta neppure diciottenne aveva finito per incarnare l'idolo del genio ribelle alle coercizioni della società, il primo maudit della storia. Allodoli amico di Giovanni Papini e poi Accademico d'Italia ce lo descrive "ambizioso e orgoglioso", grave di "generosa baldanza" e "indipendenza di idee". Non poté non impuntarsi nel mito, di elisabettiane oscurità: "ritiratosi dalla vita brillante presso un fabbricante di manifatture in Brookstreet nelle vicinanze di Londra, visse alquanto in silenzio finché un giorno, dopo avere orgogliosamente rifiutato un pranzo che il padrone di casa gli offriva, la fame, le delusioni e la disperazione lo costrinsero ad uccidersi. Quasi nessuno parlò della sua morte e il suo corpo fu sepolto nella fossa comune".
Alla dissipazione del corpo seguì la resurrezione del corpus: ci si accorse troppo tardi di essere al cospetto di un talento selvatico, dall'opera esondante. La frase con cui Allodoli chiude il saggio "pensando al diciottenne poeta, noi ci sentiamo turbati come dinanzi a qualcosa di straordinario" dichiara il destro di una poetica: il poeta è sempre fuori dall'ordinario, non si lascia intimidire dalle norme stantie della storia dell'arte; il poeta è il perturbante. Fresca, d'altronde, era l'impressione di Chatterton, l'opera lirica di Leoncavallo andata in scena al Teatro drammatico nazionale di Roma nel marzo 1896. Il libretto è tratto dalla pièce di Alfred de Vigny, un capolavoro. L'introduzione dello scrittore francese di fatto fa di Chatterton un monito e un mito universale. "Quando un uomo muore in questo modo possiamo parlare di suicidio? È la società che lo ha gettato negli inferi".
In realtà, scevra dalla gigantografia leggendaria, la burrascosa esistenza di Thomas Chatterton si muove attorno ad alcuni, miliari, elementi. Nato a Bristol il 20 novembre 1752, Chatterton subisce, da subito, lo stigma della perdita. Il padre, che si chiamava come il figlio, muore pochi mesi prima della sua nascita, in agosto: musico mediocre, poeta per dire, per diletto praticava l'occultismo. Thomas cresce con la madre, insegnante di cucito e di ornato: di suo, acuisce un'indole alla solitudine, alla lettura disordinata. Da bambino, faticava ad apprendere l'alfabeto, lo consideravano un idiota. La scuola lo infastidisce, come, in generale, le gerarchie dell'ordine costituito. Mitizza, invece, i meandri della chiesa di St Mary Redcliffe, per tradizione legata al lignaggio dei Chatterton, in cui è sagrestano lo zio. Ama insinuarsi in un altro modo: predilige l'epoca della Guerra delle Rose e quella di Enrico VIII, s'inventa un XV secolo a suo uso, comincia a scovare vecchie pergamene, balocca con la lingua. La sua precocità è inquietante: a otto anni l'idiota si rivela un lettore formidabile; a undici si ritiene poeta compiuto. È l'era in cui vanno di moda i notturni e l'esotismo di un Medioevo ricostruito in vitro, con sapienza letteraria: spopolano i canti di Ossian di James Macpherson che in Italia hanno un traduttore d'elezione in Melchiorre Cesarotti e le Reliques Of Ancient English Poetry di Thomas Percy; la caccia al manoscritto perduto è lo sport più in voga tra i letterati del tempo. All'accademismo, Thomas Chatterton preferisce l'energumena genuinità dell'ispirazione; l'invenzione di Thomas Rowley, immaginario monaco vissuto nel XV secolo è la testimonianza di un talento senza freni.
Abile nella mistificazione, nell'arte di produrre poemi in un middle english di propria foggia, sagace nel gioco dei labirinti verbali, Thomas Chatterton comincia a vendere i testi di Rowley, suo medioevale alter ego. Per un po', il falso gli rende. Talento inarginabile, il ragazzo sbarca, sedicenne, a Londra, certo di poter sopravvivere del proprio talento. A differenza dei poeti del suo tempo, vive ciò che scrive: è questo, in lui, a spaventare, ad atterrire chi lo incrocia. Il rapporto con Horace Walpole è emblematico. Chatterton inviò al potente autore del Castello di Otranto una silloge di testi di Rowley. Walpole ne è entusiasta, gli propone la pubblicazione; poi, scoperto l'inganno, si nega a Chatterton, rifiutando di restituirgli le poesie. Per un carattere scheggiato come quello di Chatterton, la sconfitta è irricevibile. Per un po' il ragazzo tenta di conquistare il Sindaco di Londra, William Beckford, che distrattamente lo stima; poi cerca di concupire qualche possibile mecenate. I testi più languidi lasciano spazio alle poesie corrosive. In un testo si scaglia contro gli "idioti politici ubriaconi,/ connaturati all'opera della Corruzione"; nell'ultima poesia, il formidabile poeta di On the Immortality of the Soul e di Enquiry after Happiness, dichiara il suo credo: "Tutto tende a comune dissoluzione". Fa, letteralmente, la fame. Poco prima di morire, chiede a un amico, chirurgo, di farlo assumere come suo assistente su un cargo che viaggia verso l'Africa.
Il 24 agosto 1770, neppure diciottenne, il poeta opta per l'arsenico. La sua morte passò praticamente inavvertita; il suo corpo gettato in una fosse comune, nel cimitero annesso alla parrocchia di St Andrew a Holborn, presso la Shoe Lane Workhouse. Alcuni credono che lo zio abbia disseppellito il corpo di Chatterton, insediandolo nell'amata chiesa di St Mary Redcliffe, dove un cenotafio ne fa memoria. Pochi giorni dopo la sua morte, un certo Thomas Fry approdò a Londra con l'intento di scoprire chi fosse l'autore o lo scopritore delle poesie ascritte a Thomas Rowley: voleva fargli da mecenate.
Del cadavere di Thomas Chatterton si sono nutriti un po' tutti; raro caso in cui il corpo del poeta coincide con il corpus dei suoi scritti. Chatterton ha finito per identificare una poetica: votarsi alla poesia fino alla fine, fino alla morte. Non si contano gli omaggi lirici e biografici a lui destinati. Uno dei più riusciti, tra i recenti, è il romanzo storico di Peter Ackroyd, Chatterton: finalista al Booker Prize nel 1987, fu tradotto in Italia due anni dopo. In copertina, come è ovvio, spicca The Death of Chatterton, capolavoro del pittore preraffaellita Henry Wallis. Il ragazzo, di cerea, incredula bellezza, apollinea, è sdraiato sul letto, morto; ha i pantaloni blu. Per il quadro, compiuto nel 1856, che moltiplicò la fama postuma di Chatterton, aveva posato George Meredith, l'autore de L'egoista. Era stato William Wordsworth, molto tempo prima, a coniare per Thomas Chatterton un'indelebile definizione: the marvellous Boy. La poesia Resolution and Independence, 1807 parla di un'"anima insonne che perì del proprio orgoglio".
Da qui, è pressoché impossibile inseguire lo spettro di Chatterton. Coleridge scrive una Monody of the Death of Chatterton che lo accompagna per tutta la vita: la prima versione è del 1790, l'ultima, del 1834; John Keats dedica Endymion "alla memoria di Thomas Chatterton"; intorno al suo "triste destino" aveva già scritto un sonetto To Chatterton di azzurra tenerezza: "... ora sei tra le stelle/ nei più alti cieli, alle sfere canti/ soavi inni, nulla ti turba/ dell'ingrato mondo, delle umane paure". La poesia in memoria di Thomas Chatterton sorta di amuleto per accedere nell'empireo dei poeti divenne un genere. Lo praticò, tra i tanti, anche da Dylan Thomas: O Chatterton, del 1938, ha modi da musa ubriaca. Serge Gainsbourg cantò la morte di Chatterton nel 1967.
Ogni letteratura ha bisogno, per trovare nuova nascita, di un capro espiatorio.
Il ragazzo di belle speranze che s'incaglia nella sfortuna. Il pioniere che si perde nel deserto, a un passo dalla terra promessa, appena intuita. Thomas Chatterton è stato l'agnus della poesia moderna. Questa sconfitta, ora, ci sovrasta.