Le toghe infangano ma evitano di seguire la pista del denaro

Nell’indagine su Bisignani nessuno ha ricostruito il suo giro d’affari: forse perché il gossip interessa più della verità

Le toghe infangano 
ma evitano di seguire 
la pista del denaro

Quanto è divertente la saga (occhio alla vocale, amici della redazione) di Gigi Bi­signani. Siamo con lui, un po’ ammirati dalla sua abilità di tes­sitore instancabile, e un po’ invi­diosi del suo successo con le don­ne e con gli uomini, centinaia di persone importanti ai suoi piedi, lì a chiedere lumi su qualsiasi cosa, consi­gli, dritte, favori, racco­mandazioni, appoggi. E lui che ne distribuiva a destra e a sinistra (ammazza com’era bi­pa­rtisan ’sto faccendie­re carino come un puf­fo). Ecco qual era il suo vero mestiere: il distri­butore. Distributore automatico di servizi vari. Svelto ed efficien­te, non si inceppava mai, una macchina perfetta.

Uno che da giornalista dell’Ansa diventa distributore au­to­matico di prodotti tipici del sotto­bosco romano deve avere delle ca­pacità non comuni. Ne siamo in­cantati. È un personaggio lettera­rio che meriterebbe di essere rac­contato dalla penna di Balzac, an­zi, di Maupassant. Il Bel Ami al suo confronto era un frate trappista. Gi­gi non era affatto un arrivista, era arrivato. Non c’era portone che non gli si spalancasse. Non c’era tappeto rosso che non gli si sroto­lasse dinanzi. Egli agiva nell’ombra ma anche al sole. Negli ultimi tempi, poi, bastava citare il suo nome per ottenere udienza in qualsiasi ambiente importante. «Me l’ha detto Bisi­gnani », sussurravi, e il tuo interlo­cutore era in soggezione, mostra­va subito attenzione e premura.

Chi ha letto le intercettazioni del­le innumerevoli conversazioni del presunto Grande Maestro della P4 si sarà reso conto che ogni suo desi­derio era un ordine gentile al quale conveniva obbedire. Altrimenti? Lasciamo perdere. Si ignora se il po­t­ere di Gigi fosse millantato o auten­tico, se cioè lui intimoriva tutti per­ché era potente o se era potente per­ché intimoriva tutti. In attesa che il dubbio sia sciolto, ci domandiamo come mai un signore che trafficava in ogni settore dove scorrevano mi­­liardi, dalla Rai all’Eni,dalle alte sfe­re della politica a quelle della finan­za, sia riuscito per tanto tempo a ri­manere fuori dal circo mediatico e farsi gli affari suoi, o quelli di mez­zo mondo, senza essere sbattuto in copertina. Converranno i lettori che è un mistero. Ma troviamo sia ancora più misterioso il fatto che al­l’improvviso, dopo anni e anni di frenetica attività svolta nel più asso­luto anonimato, Bisignani sia fini­to sulla bocca di tutti. D’accordo. Ora si occupano di lui i magistrati, quindi ovvio che se ne parli. Il pro­blema però è un altro: se effettiva­mente questo straordinario indivi­duo ha combinato quanto gli attri­buiscono, come è possibile che gli inquirenti se ne siano accorti negli ultimi mesi anziché, poniamo, die­ci anni fa? Altro interrogativo.

Stan­do alle ipotesi di reato, Bisignani manovrava ministri e capi di azien­de colossali, e il bello è che costoro si facevano manovrare quali burat­tini. Se è così, chissà quanti soldi avrà guadagnato. Non ci si venga a dire che sbrigava una simile mole di lavoro gratis (sarebbe ridicolo so­lo pensarlo). Era titolare di una dit­ta? Aveva almeno una partita Iva? Quanto fatturava? A chi erano inte­state lefatture? Vediamo un po’ chi pagava e a quale titolo. Ci sarà una contabilità, ci saranno delle denun­ce dei redditi, delle tasse versate. O non c’è un tubo?Perché finora l’in­chiesta ha trascurato questo aspet­to decisivo per inquadrare l’oscura vicenda e il suo protagonista? On­de valutare il volume degli affari, puliti o no che siano, di un qualun­que­cittadino sospettato di scorret­tezze, il primo passo da compiere è una bella indagine fiscale.

Bisigna­ni ha un patrimonio immobiliare e mobiliare? Gli sia dia uno sguardo, perdio. Invece, niente. Siamo infor­matissimi sulle mille tresche del soggetto in questione, sulle sue fit­te relazioni con vippini e vipponi della Capitale, conosciamo anche i dettagli delle sue frequentazioni, gossip, maldicenze, illazioni, allu­sioni; ma buio pesto su chi sborsa­va e chi incassava. E pensare che non occorre molto ingegno per ca­pire: non c’è teorema che sia credi­bile se non viene dimostrato.

In questi casi, la pista del denaro, che lascia sempre delle tracce, non può che condurre alla verità. Ma siamo sicuri che interessi di più la verità della melma che sta attorno, calpestando la quale si può imbrat­tare chiunque?

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