Tolkien, la mostra del loro scontento

La rassegna a Roma scatena la sinistra che vede le mani del "fascismo" sulla letteratura

Tolkien, la mostra del loro scontento
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Ci sono quelli che non leggono Tolkien perché gli hobbit gli ricordano gli amish, o perché non hanno mai capito la filastrocca sul Signore degli anelli, o non si fidano di Grampasso, un cane sciolto che finge di non essere l'ultimo re, oppure perché ancora sussurrano alle orecchie di Théoden di Rohan come eterni vermilingui. C'è poi chi ha smesso di nominarlo, lui, Tolkien, perché piace troppo a Giorgia Meloni e trova sospetta una mostra romana per i cinquant'anni della morte. Tutto questo, di questi tempi, non è opportuno. È il segno che la maledetta destra sta mettendo le mani sulla cultura, con orde di goblin, uruk-hai geneticamente modificati e orchi neri imbastarditi. Allarme, allarme. Lo grida Repubblica, citando il Guardian e il Times, perché l'occhio lontano è sempre più autorevole e ti conferma che quella luna nera che oscura il cielo indica l'apocalisse etica e culturale che pesa sul nostro destino. I sacerdoti si interrogano, come fa Jamie Mackay sul Guardian: «Cosa sta cercando di ottenere il governo imprimendo il segno in modo così aggressivo su una delle saghe fantastiche più amate al mondo?». Mistero. L'aggressione sarebbe questa mostra, che secondo i Wu Ming puzza troppo di destra e rievoca i campi hobbit missini degli anni '70 e poi odora di sangiulianismo, con un taglio troppo ministeriale, quindi un po' demodée.

L'idea è che se la destra sfiora Tolkien è una bestemmia. È usurpazione. È arrogante e allo stesso tempo maldestra. Si permette di mettere le sue luride manacce su un architrave del «fantasy». La destra che piace deve restare nel suo recinto, per giudizio divino rozzo, maneggione, parodistico, sgraziato. Il sogno è che sia fascisti, così da giustificare la giostra mascherata degli antifascisti eterni che, ormai si è capito, senza un nemico immaginario si sentono orfani e vivono con il rimpianto che non ci sia in giro una cultura fascista con fez e camicie nere, per interpretare su tutti gli schermi la messinscena degli eroi a tempo perso. È così che in assenza di segnali più evidenti si gettano famelici sulla mostra tolkeniana, con la stessa logica dei malati di complottismo. Rivendicare il conservatorismo di Tolkien è l'ultima traccia di Ur-Fascismo. Lo avrebbe detto anche Umberto Eco. Sicuro, come la morte.

Giorgia Meloni non ha bisogno di una mostra per amare Tolkien. Non c'è nulla di pubblico nella passione per Lo hobbit, Il signore degli Anelli, Il Silmarillion. È una storia privata. È l'incanto di una ragazzina che scopre un mondo fantastico e si immerge, passo dopo passo, e si lascia stregare da Gandalf, e sorride per le battute alla Rosencrantz e Guildenstern del nano Gimli e dell'elfo Legolas, forse un po' si lascia affascinare da Aragorn, ma è più proibabile che lei si senta in sintonia con il popolo di mezzo, quegli hobbit di cui pochi conoscono l'esistenza. È Frodo il suo eroe, perché sa resistere al potere dell'anello e ne sente il peso, ma la sua anima è più forte di quella di Gollum e alla fine riuscirà nell'impresa di gettarlo e distruggerlo nel fuoco del monte Fato. È lì che impara che il potere ha un prezzo e ti corrompe. È lì che fa i conti con il tradimento di Saruman il bianco: anche i maestri possono deluderti.

È l'ambizione senza fine che danna perfino gli angeli, figuratevi gli umani. È il desiderio di potere, di immortalità, di potenza esponenziale con l'aiuto delle macchine che spazza via l'innocenza del mondo. La risposta è nel coraggio di chi non crede alle promesse utopiche di paradisi in terra, di masse senza identità, di artifici dove il confine tra reale e virtuale si fa sempre più sottile e non tutto ciò che vedi sa di vero. È la resistenza dei pochi e disperati al Fosso di Helm. È il rifiuto di abbassare la testa davanti a un potere globale. È in quella pagina che la ragazzina sente i valori di quello che chiamiamo Occidente. Senza certezze. È tutto molto più semplice.

È quello che dice Sam a Frodo. «Noi non dovremmo nemmeno essere qui. È come nelle grandi storie, quelle che contano davvero.

Come poteva il mondo tornare com'era dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine è solo una cosa passeggera, Anche l'oscurità deve passare. Le persone di quelle storie avevano molte occasioni di tornare indietro e non l'hanno fatto. Andavano avanti, perché loro erano aggrappate a qualcosa».

Frodo: «Noi a cosa siamo aggrappati, Sam?»

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