Torna "Legs" Diamond, il bandito reso leggenda da William Kennedy

Famoso come Al Capone, di spietata eleganza è al centro di un romanzo sul mito del gangster

Torna "Legs" Diamond, il bandito reso leggenda da William Kennedy

Lo chiamavano, per lo più, "Legs", un po' perché era bravo a ballare, un po' perché era veloce ad evaporare se, nei dintorni, si sentiva anche solo vagamente il profumo di polizia. Ma lo chiamavano anche "Gentleman Jack", per quel suo elegante cappello bianco, per quel modo di rapportarsi ai bei vestitini discinti e alle signorine che ci stavano sotto, per quel suo non aver voglia di portarsi dietro la puzza della strada. Dalla strada si era portato dietro solo la tigna di farcela e una certa propensione a far buchi dentro le persone che, secondo lui, ostacolavano il suo legittimo diritto a spacciare alcol (ed eroina) durante il proibizionismo. Il suo vero nome era Jack Diamond (nella foto) e per quanto la sua fama sia andata dissipata, come il suo sangue nella stanzetta di Albany dove fu ucciso, ci fu un momento in cui era una vera e propria star del crimine a stelle e strisce: se la giocava con gli Al Capone, con i Dutch Schultz e i Lucky Luciano.

Insieme a questi avversari/sodali mise in scena un western metropolitano al ritmo dei mitra Browning che spazzavano via il tintinnare di bicchieri degli speakeasy, una versione muscolare e sanguinaria del sogno americano, non aliena, nel caso di Diamond, da una spruzzatina di filosofia. E anche di mitologia, aveva bazzicato gli ambienti di Fitzgerald abbastanza da fornirgli qualche dritta sulla vita di un contrabbandiere per Il grande Gatsby, poi quando uscì il libro Diamond si fece fare un'auto il più possibile uguale a quella di Gatsby nel libro... Perché la criminalità anni Venti era anche questo mito, violento ma mito, mito che si autoalimenta leggendo di sé sui giornali e andando a prendere la nuova trovata criminale al cinema, per far sì di finire nel prossimo film. Gli almost famous del mitra e dove trovarli...

Tutta questa vicenda rivive potenziata dalla fulminante penna di William Kennedy in Legs, appena ripubblicato da Minimum Fax (pagg. 386, euro 19), visto che in Italia è rimasto assente dalle librerie dal 1985 quando uscì con il titolo Il grande Gangster (Frassinelli). Kennedy, premio Pulitzer famoso per la sua "Trilogia di Albany", iniziata proprio con Legs nel 1975, in questo romanzo non mette banalmente su carta la biografia di un criminale degli anni ruggenti, ma mette in scena un gioco di prestigio, un ragtime di parole, che fa rivivere uno stile di vita, la versione potenziata e autodistruttiva del sogno americano.

La voce narrante e fintamente borghese è quella dell'avvocato Marcus, che si mette a ricucire, anni dopo, i pezzi dilaniati della vita di Diamond, che fu suo cliente e mentore criminale. Un Caronte a mano armata, che lo ha traghettato in un esistenza crudele ma spumeggiante, dove la tortura di uno scagnozzo disgraziato va di pari passo con gli incontri con raffinati intellettuali berlinesi, che vogliono mettere la vita dei gangster in commedia (e per questo si beccano un colpo di calibro 25 in mezzo ai piedi). Nel libro attorno a Diamond vengono evocati, come spettri attratti dal sangue, decine di personaggi. C'è Fogarty, cieco da un occhio e dal grilletto facile, che andrebbe nel fuoco per Diamond, la bella Kiki che impara presto la differenza tra essere una ballerina di seconda fila e l'amante di un boss, Eddie, il fratello tisico di Legs finito rapidamente male, i fratelli Reagan, abbastanza stupidi da farsi riempire di piombo per una discussione sulla boxe.

E poi c'è la moglie di Diamond, la morbida Alice, che tiene in piedi la recita della bella famigliola che vive nella tenuta di campagna, almeno sino a che non le viene un attacco di gelosia per Kiki la ballerina. In quel caso le discussioni familiari possono prendere strane pieghe: "Jack afferrò il secondo canarino con una mano e lo strinse sino a ucciderlo, poi cacciò il cadaverino palpitante e con gli occhi sanguinanti nella scollatura di lei. Anche io ti amo, disse".

Kennedy fa rivivere un mondo che guidava a velocità smodata verso il sogno del benessere, senza cintura e bevendo e spacciando alcol tossico... Lo fa con una penna acida e ironica che mette in luce tutta la tragedia umana incrostata sotto il cappello bianco a falda larga di Diamond. Abbastanza per fare di questo libro uno dei preferiti di Mario Puzo (sì, quello de Il padrino) e di Hunter S. Thompson (sì, quello che ha inventato il gonzo journalism). Per il resto, che dire? Non resta che lasciare il lettore solo con Legs a fare i conti con la banalità del male. Che non è mai banale.

Parola di gangster: "Lo portai al fiume con un autista e lo scortai fino alla fine del molo. Mi offrì quattromila dollari, tutto quanto gli era rimasto dalla partita, e io li presi. Poi gli sparai tre volte e lo buttai in acqua. Saltò fuori che aveva tre figli. Era un baro ma era complicato. Mi guardò e disse: Perché? Ti ho dato i soldi. La sua vita doveva essere complicata con tre figli e io l'ammazzai. Volevo quei quattromila dollari e sapevo che lui li aveva. Ma non avevo mai ammazzato nessuno prima e ti dico che do la colpa a Rothstein.

Magari non lo ammazzavo se lui non diceva quelle cose sul taglio dei capelli, se non mi faceva sentire un pezzente. Lo sapevo che ero un pezzente ma non credevo si vedesse. Con quei quattromila dollari non ero più pezzente. Comprai un vestito nuovo e mi feci tagliare i capelli al Waldorf Astoria".

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