Torna in scena la stagione del «teatro umano»

In una città che ha spesso il vizio di bruciare la propria storia preferendo importare modelli globalizzati, la riapertura del Franco Parenti - ex Salone Pier Lombardo - ha un sapore tutto particolare. Sono trascorsi dodici anni da quando la cittadella dello spettacolo dietro Porta Romana venne trasformata in un cantiere costringendo a un lungo esilio la cooperativa nata nel '73 «all'insegna di un'orgogliosa, totale indigenza e solitudine», come disse Giovanni Testori. L'esilio è finito. E il teatro fortemente voluto da Andree Ruth Shammah, compagna di avventura di Franco Parenti fin dagli esordi, ora non sarà più abitato da fantasmi. Come quello di Edoardo De Filippo, che su questo palco recitò «Tra i pari e i dispari», o come quello di Giorgio Strehler e Paolo Grassi che lavorarono fianco a fianco con Parenti, o come quelli di tutti gli attori viventi che in questo luogo misterioso «sono riusciti ad andare oltre sè stessi», da Gianrico Tedeschi a Umberto Orsini, da Giorgio Albertazzi a Carlo Cecchi, senza contare la partecipazione di intellettuali e artisti come Umberto Eco, Emilio Tadini, Emanuele Severino, e lo stesso Testori che qui fece debuttare il suo Ambleto nel 16 gennaio del 1973. Fantasmi, si diceva, presenze, ma non simulacri, perché il teatro - sottolinea la Shammah- non è luogo di amarcord. Non può esserlo per chi, come lei, ha ereditato il sogno strehleriano di un teatro civile «che parlasse un linguaggio della contemporaneità nei contenuti, nello spirito, nel rapporto con il pubblico». Questo progetto di «teatro umano», luogo dove tutto può accadere sopra e fuori del palcoscenico, è vivo e presente nella nuova stagione che inaugura sabato e il cui filo conduttore è quello dell'unicità di spettacoli che vedono testi difficilmente producibili altrove. Come nel caso de La forma dell'incompiuto che vede danza e pensiero dialogare misticamente attraverso le memorie di Giorgio Albertazzi e le visioni coreografiche di Susanna Beltrami. Ma soprattutto nel caso di Ondine di Giraudoux, capolavoro mitologico che andrà in scena il 16 ottobre in un teatro per l'occasione «smontato» in tre parti. La favola di Ondine, parabola del sogno e del teatro che già 20 anni fa fu rappresentata da Andree Shammah nei giardini di via Palestro, è opera esemplificativa di una stagione timbrata dal tema dell'allegoria, ma anche di un progetto che prevede la trasformazione dei testi grazie anche a una struttura multisala, che consente ai registi di scomporre la scena tra interni-interni ed interni-esterni.

Il cartellone prevede altri nomi forti che hanno scelto il Parenti per il debutto di opere uniche come Umberto Orsini in Molly Sweeney (a novembre), Carlo Cecchi in Sik Sik, l'artefice magico e Claus Paymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare da me (a dicembre), e ancora la coppia Silvio Orlando e Anna Bonaiuto nel Dio della carneficina (a gennaio). «Volevo una stagione unica -ha detto Andree Shammah- non fitta di titoli ma che proponesse opere dove gli attori avessero la reale possibilità di mettersi in gioco».

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