La tragedia nel Bergamasco

Prima l’ha picchiata, poi con un coltello l’ha ferita all’addome facendole perdere il bambino.
Ora l’uomo, un marocchino di 40 anni, è ricercato dalla polizia, che gli sta dando la caccia da tre giorni. È il tragico epilogo di una relazione tormentata tra Nicoletta Gaspani, bergamasca di Capriate San Gervasio (in provincia di Bergamo) e un operaio nordafricano: i due si erano conosciuti all’inizio dell’anno ed erano insieme da circa sei mesi. Tre mesi fa la donna ha scoperto di aspettare un figlio. La violenza si è consumata sabato sera a Bergamo, nell’abitazione in cui vive l’extracomunitario, al culmine di una lite.
L’uomo l’ha picchiata con tutta la rabbia possibile, colpendola a più riprese con calci e pugni sul volto, poi ha afferrato un coltello e l’ha ferita con un fendente all’addome. La donna ha cercato invano di difendersi, il fidanzato l’ha chiusa in casa, ma lei è riuscita a scendere in strada e a chiedere aiuto a una passante, che ha allertato il 118. Pare che tra i due ci fossero state altre discussioni e che già in passato l’uomo avesse picchiato la fidanzata.
Qualche tempo fa la ragazza lo aveva persino presentato ai genitori, che però le hanno sempre consigliato di interrompere quella relazione. «Frequentava quell’uomo da circa sei mesi, nonostante le avessimo sempre consigliato di lasciarlo perdere. A noi non è mai piaciuto: ha precedenti penali e abbiamo sempre pensato che non fosse la persona giusta per nostra figlia. Invece lei era innamorata e dopo poco è rimasta incinta», racconta il padre di Nicoletta, Angelo Gaspani, che ora non si fa una ragione di quello che è successo.
La donna è tuttora ricoverata nel reparto di Ostetricia degli Ospedali Riuniti di Bergamo, dove è stata sottoposta a un intervento chirurgico. Non è più in pericolo di vita, ma le sue condizioni sono ancora gravi e purtroppo il bimbo non è sopravvissuto. È stata la stessa vittima a indicare alle forze dell’ordine il suo fidanzato come responsabile della violenza. «Sono notizie che fanno gelare il sangue - ha commentato Roberta Angelilli, vicepresidente del Parlamento europeo e membro della Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere all’Europarlamento - avventarsi con una simile ferocia su una donna, sulla propria compagna e madre della creatura portata in grembo e abominevole. Nessun gesto violento e lesivo della propria dignità, soprattutto se commesso in ambito famigliare deve essere giustificato e tollerato, le donne devono denunciare gli abusi subiti tanto più se commessi tra le mura domestiche».
La vicenda di Nicoletta ricorda altre storie simili. L’ultima volta che l’Italia intera s’era commossa per un caso analogo è stato cinque anni fa. Un ragazzo uccise la fidanzata con sei coltellate alla schiena, poi confessò di averlo fatto perché lei era incinta. Accadde in provincia di Frosinone.
Lui, Michele Salerno, 26 anni, programmatore informatico di origine calabrese, va a prendere la fidanzata Adriana Tamburrini, 19 anni, studentessa all’ultimo anno del liceo classico. I due salgono sulla Honda Civic del giovane e si dirigono verso il lago di Posta Fibreno, poco distante. Qui all’improvviso, attorno alle 23, avviene qualcosa di grave, sicuramente non il solito litigio tra fidanzati. La coppia è in crisi, ma lei dice a lui che è incinta, gli chiede di tornare insieme.
Michele colpisce Adriana alla schiena: uno, due, sei colpi, con un piccolo coltello a serramanico. La ragazza resta a terra. Nella notte nessuno cerca Adriana, che vive da sola in un appartamentino di Sora. Michele Salerno, intanto, imbocca l’autostrada verso nord, ma il giorno dopo, nei pressi di Firenze, chiama la polizia: «Sono stato io a ucciderla», e scoppia in lacrime.


Adriana aveva il viso dolce, gli occhiali con la montatura scura, diciannove anni e un figlio nel grembo. Un figlio mai nato, come quello di Nicoletta, che condivide la sua storia con altre ragazze delle quali troppo spesso ci si dimentica.

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