Trama e recitazione quasi inesistenti ma grande musica

Across The Universe (Da una parte all'altra dell'universo) era il titolo di una canzone dei Beatles. Ora è anche il titolo del film di Julie Taymor (Titus, Frida) che la contiene. Il motivetto è dunque diventato fulcro di un'operazione-nostalgia per sessantenni, perfetto per chiudere un festival con buoni sentimenti. Protagonista è Jim Sturgess, nel ruolo di un giovane portuale della Liverpool non ancora depressa del 1968, che va a cercare il padre naturale, un americano giunto in Inghilterra con la II guerra mondiale. Lo trova nello Stato di New York, all'Università di Princeton (Ivy League, dunque d'élite) dove però costui non insegna: lava vetri.
Poiché lo sfondo americano serve per gli incassi, il ragazzo resta negli Stati Uniti, anche senza permesso di residenza, e conosce una ragazza borghese (Evan Rachel Wood), che ha perso il fidanzato nella guerra del Vietnam e ora rischia di perdere anche il fratello. Lei poi si fa attrarre dell'estremismo pacifista, più che dal pragmatismo impolitico del portuale. Il quale, scoperto come clandestino, è rispedito a Liverpool...
La trama è dunque poca cosa e la recitazione anche meno in Across The Universe, non per incapacità degli attori (appaiono brevemente Salma Hayek, Joe Cocker e Bono) ma per scelta della regista.
La struttura del film è infatti tutta di canzoni, come in Grease, ma con un orientamento che risale a Hair, grande successo dell'epoca contestatoria che Milos Forman portò sullo schermo nel 1978. E sono per lo più canzoni anacronistiche, successive all'epoca dei fatti narrati, che nel film si rivolgono ad altri episodi anacronistici: giovani d'oggi che avrebbero voluto esser giovani d'allora, quando un quarto - non un ottavo, come adesso - della popolazione europea aveva meno di venticinque anni. Ciò non migliorò il mondo, lo movimentò soltanto. Nel film della Taymor, come in altri analoghi, di quel periodo c'è poi una strana memoria selettiva: si esalta Kennedy, che volle la guerra in Vietnam, e si depreca Johnson, che la subì...
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Le donne che amano troppo sono meno di quelle che amano poco. Il passato di Hector Babenco, presentato ieri in concorso alla Festa di Roma, parla evidentemente delle prime, perché per le secondo il passato è senza nostalgia. Però Babenco non è regista «da donne», quindi il suo film, tratto dal romanzo omonimo di Alan Pauls (Feltrinelli), racconta la vicenda dalla parte dell'uomo, un traduttore/seduttore (Gael Garcia Bernal) molestato dall'ex moglie, che gli manda in pezzi le successive unioni. Ambientato a Buenos Aires, il film ha una sua coerenza, se ci si lascia attrarre: il problema è appunto questo...
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Per chi non è sensibile agli assilli del cuore (altrui) e preferisce quelli della spada, la Festa ha offerto Mongol, prima parte, di tre, dell'ambizioso affresco storico di Sergei Bodrov su Gengis Khan, alias Temucin (Tadanobu Asano). È una supercoproduzione russo-mongola, dove vediamo infanzia e giovinezza del futuro conquistatore.

Al Signore degli anelli, Bodrov oppone il Signore del mondo, che non aveva resipiscenze, ma non era il mostro che gli stessi russi, soggiogati, dipinsero. Un'opera utile, ma che risente di Conan e altri film del filone.

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