Transizione energetica

"Così la crisi energetica travolge l'ordine neoliberale"

Conseguenze a lungo termine della crisi energetica, i dilemmi sul futuro della transizione, il rischio di un autunno caldo. Per Castellani è una partita che può cambiare gli equilibri italiani ed europei

"Così la crisi energetica travolge l'ordine neoliberale" Esclusiva

La partita del governo della transizione energetica e della ricerca dei mix produttivi ottimali per le nostre economie sta risultando importantissima nel dibattito politico italiano ed europeo, tanto che nessuna forza che aspiri a governare nei principali Paesi del Vecchio Continente può ignorarla, a maggior ragione in questa fase complessa. Sul tema dell'agenda energetica italiana ed europea, delle conseguenze politiche dell'attuale crisi dei prezzi e dell'inflazione e sull'impatto che essa avrà sul ruolo dello Stato e del mercato nel prossimo futuro ci confrontiamo con Lorenzo Castellani, politologo e saggista che insegna alla School of Government della Luiss ed è editorialista per World Energy Magazine e il Quotidiano Nazionale.

Professor Castellani, la partita energetica sta diventando decisiva per l'agenda economica dell'Occidente. A che punto è il dibattito in Europa?

"Stiamo ancora girando intorno al price cap, la cui efficacia per molti esperti è dubbia. Il dato di fatto sembra essere uno: a breve i flussi dalla Russia si interromperanno del tutto. Per il resto, è opportuno disaccoppiare le energie rinnovabili, la cui produzione di energia elettrica ha costi molto inferiori, da quella derivante da gas, su cui oggi si basa il prezzo di mercato. Non è risolutivo, ma è un passo in avanti. Per il resto le iniziative sono individuali e delegate ai singoli Stati, come la decisione della Germania di spendere 65 miliardi per coprire i costi energetici di industria e famiglie".

In che modo l'agenda energetica rafforza i trend nati nel post Covid: ritorno dello Stato, protezionismo, rivalità geopolitica?

"La somma di guerra e crisi energetica ci ha proiettati in un mondo diverso. La pandemia aveva generato enormi stimoli fiscali da parte dei governi per fronteggiare l’emergenza. Un chiaro esempio di questo è il Next Generation EU, con il suo impianto dirigistico. Questa spesa pubblica generalizzata (in particolare gli stimoli americani sono stati enormi) sommata alle politiche green, che hanno ridotto l’offerta di energia da fossile, ha posto le basi per l’inflazione. Una situazione definitivamente aggravata dalla guerra in Ucraina e dalle sanzioni alla Russia. Di conseguenza, le banche centrali sono costrette ad alzare i tassi ma i governi devono coprire gli insostenibili costi energetici con la spesa pubblica. Price cap, nazionalizzazioni (come quelle avanzate in Francia da Macron), prezzi amministrati, controllo dei capitali, ritorno ai contratti di fornitura a lungo termine sono tutti segni del fatto che il sistema neoliberale è oramai al tramonto".

Il superciclo delle materie prime può essere un nuovo vincolo ai programmi politici delle forze che ambiscono a governare i Paesi europei nei voti più imminenti?

"Con l’inflazione prossima al 10% nessun può ignorare che questa sia una priorità politica, a maggior ragione che in Europa non si tratta di inflazione da salari ma da materie prime. Potenzialmente può durare più di una spirale da inflazione classica. Ciò vale per i singoli governi che dovranno trovare nuove risorse e dunque rimodulare la spesa, ma anche per l’Unione Europea. C’è una paura taciuta da tutti nell’establishment: con l’inflazione c’è il rischio che l’euro, costruita per essere una moneta forte, perda credibilità nell’opinione pubblica se l’inflazione dovesse durare a lungo".

Ritiene possibile un "autunno caldo"? Dobbiamo aspettarci lockdown produttivi e proteste sociali?

"Il razionamento energetico porterà al rallentamento inevitabile dell’industria e forse anche al blocco di alcuni settori. La crescita di tassi di interesse alimenterà la frenata ulteriormente. Ciò significa un aggravio di spesa per gli ammortizzatori sociali. Non so se questa situazione può sfociare in tensioni sociali, ma senza dubbio metterà sotto stress l’economia e i bilanci statali. L’impatto sarà di lungo periodo".

La battaglia su ambiente e energia in Italia si sta molto strutturando sull'asse destra-sinistra. Sta diventando un tema inevitabile nella politica odierna?

"Certo, e proprio per quello che dicevamo prima. Le politiche ambientali hanno senso nel lungo periodo per cercare una indipendenza energetica, ma nel breve hanno creato troppi squilibri. La transizione ecologica è stata accelerata troppo, il lato dell’offerta non era pronto a garantire una produzione che non dipendesse dai fossili. La sinistra si è lanciata nell’ambientalismo con troppa foga ideologica, sottovalutando le implicazioni socio-economiche. La destra è stata più prudente e liberale, ma occorre anche immaginare alternative energetiche per il futuro. L’opzione russa non c’è più. Servirebbero nucleare, rigassificatori, ricerca di fonti fossili e anche rinnovabili".

In effetti dal carbone al nucleare, dal gas alle rinnovabili classiche, ogni discussione sui mix energetici è oggi valida. Quali ritieni essere quello ottimale per l'Italia? Come costruire un approccio comune europeo su questo dossier?

"In prospettiva sul gas l’Italia può fare bene perché può aumentare il proprio approvvigionamento in Nord Africa e diversificare gli approvvigionamenti. Sul nucleare non credo, purtroppo, ci sia tempo e volontà di recuperare. Le rinnovabili possono essere potenziate molto, ma serve investire nella ricerca e sviluppo italiana per non finire alle dipendenze dei cinesi. Bisogna poi che la politica estera sostenga l’ENI nella ricerca e nello sfruttamento di nuovi giacimenti nel Mediterraneo e in Africa così come va sfruttato ogni metro cubo di gas presente nell’Adriatico. L’Unione Europea, invece, può rallentare la transizione ecologica e smetterla con la criminalizzazione dei fossili, che saranno necessari ancora a lungo. Inoltre, oggi puntare tutto sull’elettrico significa mettersi ancora nelle mani degli autoritarismi asiatici che controllano gran parte dei giacimenti. Si potrà fare quando saremo pronti sul piano industriale, ma oggi chip e batterie non sono nella disponibilità europea.

Mentre nell’immediato forse la soluzione migliore sarebbe un Recovery Plan per l’energia, ma allineare le volontà politiche non sarà semplice".

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