Tre errori gravi e tanti ribaltoni

Aver guidato gli azzurri in Germania 2006 non può essere un salvacondotto che esenta Lippi da ogni rilievo. Le colpe del ct: la frenesia nel cambiare schemi, l’insistenza accanita su Gilardino, la difesa basata sul reducismo

Tre errori gravi e tanti ribaltoni

Il tiro al ct non è uno sport praticato in questa redazione. E qui non valgo­no, come deterrente, né i rapporti personali col viareggino, che pure so­no ottimi, né il ricordo della cavalcata trionfale in Germania che dovrebbe vale­re da salva- condotto, come in effetti risul­tò per Enzo Bearzot nell’86, a Città del Messico, procurandogli persino un con­tratto­ rendita di altri 4 anni. E infatti si leg­gono, sul conto di Lippi, talune feroci cen­sure che non possono essere sottoscritte. Per esempio l’addebito d’aver lasciato in Italia un cospicuo numero di fenomeni che avrebbero cambiato il volto dell’Ita­lia, povera e impaurita, vista col Para­guay e segnalata contro la Nuova Zelan­da. Con tutto il rispetto per i suoi quotidia­ni avventori, è argomento da bar dello sport.

Prendiamo Totti, uno dei pochi fuori­cl­asse esclusi dopo aver consultato medi­ci e preparatori della Roma: sarebbe servi­to a poco, d’accordo avrebbe reso più di Gilardino, vuoto come una canna. Rispet­to a quattro anni prima Francesco ha cambiato anche ruolo: è diventato una boa d’attacco, capace di lanciare in gol centrocampisti d’assalto.Ce n’è uno solo in circolazione dalle parti di Centurion: De Rossi.

Cassano e Balotelli, poi, avrebbero di si­curo aggiunto, nelle curve della qualifica­zione in bilico, qualche parola fuori regi­stro e qualche atteggiamento sbagliato di troppo. Il barese, a Lisbona e a Vienna, nei due europei cui ha partecipato con la ma­glia azzurra, non ha cambiato il destino della Nazionale, né dei rispettivi Ct, Tra­pattoni e Donadoni, lasciati a casa per i de­­ludenti risultati collezionati. Non è mai sta­to Maradona.

Non è questo il peccato originale di Mar­cello, cui bisogna riconoscere, per onestà intellettuale, lo sgambetto del destino. Non aveva molti campioni da reclutare: uno, Nesta, è andato in vacanza per guari­re al ginocchio, l’altro,Buffon,si è blocca­to con la schiena dopo 45 minuti di mon­diale, il terzo e ultimo disponibile, Pirlo, è stato fatto fuori da un volgare insulto mu­scolare a Bruxelles, al culmine del primo test amichevole. E per combinazione è spuntato sui prati di Centurion Riccardo Montolivo: lo avevano impallinato senza tener conto del necessario apprendistato da garantire a un giovanotto dalle sue ca­­ratteristiche, tecniche oltre che tempera­mentali. È un giovanotto timido, introver­so: ha bisogno di fiducia per mettersi al vo­lante di una squadra. Lo ha maturato il curriculum in Champions league, lo ha ro­dato il duello con Gerrard. Senza l’infortu­nio di Pirlo, sarebbe rimasto in panchina ad attendere Prandelli e la prossima svol­ta azzurra.

E allora quali sono le colpe di Lippi? La prima, forse quella decisiva, è il suo modo di comportarsi dinanzi alle difficoltà. Con Paraguay e Nuova Zelanda, è partito con uno schieramento e l’ha puntualmente rovesciato come un calzino nella ripresa, cambiando disegno tattico e interpreti s­e­condo una tecnica che può anche aiutare a uscire dalle curve a gomito di una sfida ma può allo stesso tempo scavare insicu­rezze, provocare disorientamento. La fre­nesia dal ct rimproverata alla squadra nel risalire la china è la stessa tradita dalla panchina nel cambiare registro, specie se mancano collaudati eversori, raffinati gio­colieri capaci di una qualche magia bali­stica. Non c’è un Baggio, men che meno un Rivera: servirebbero come il pane.

Secondo appunto: la difesa di Gilardi­no sta diventando un accanimento tera­peutico. Alberto è un bravo ragazzo ma ha puntualmente «bucato» il grande evento: è passato dal Milan senza lasciare tracce nè rimorsi. Rievocare la parabola di Paolo Rossi in Spagna è come rifugiarsi nella macumba. Terzo e ultimo appunto: se l’Italia ha preso due gol, con le stesse modalità, è un problema che attiene al­l’organizzazione sui calci piazzati ma an­c­he al panico che si crea nel fortino azzur­ro. E chi può restituire sicurezza ai guar­diani del faro? Quattro anni fa Lippi stupì tutti presentando due terzini, Zaccardo e Grosso, di discutibile spessore tecnico.

È convinto, un mondiale dopo, che sono sufficienti gli stessi ingredienti e le stesse scelte, per assicurarsi l’identico risultato. E invece il calcio è anche una misteriosa chimica.L’esperimento,ripetuto due vol­te, con gli stessi agenti, può anche non riu­scire. Perciò è meglio non farsi condizio­nare troppo dai ricordi di Duisburg.

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