Detroit oggi, Torino domani: lindustria dellauto declina, leconomia precipita, la malavita avanza. Nella città del Michigan la polizia locale - priva di mezzi - si limita a togliere dalle strade i morti della guerra fra bande. Questo lo sfondo tacitamente apocalittico di Four Brothers («Quattro fratelli») di John Singleton, rifacimento del western I quattro figli di Katie Elder di Henry Hathaway (1965).
Già in Bowling a Columbine Michael Moore confrontava il disagio di Detroit con lagio del contiguo Canada. E Singleton - stesso colore di pelle ma opposto colore politico rispetto a Spike Lee - mostra la metropoli lacustra in un clima da guerra civile. Quando Four Brothers è stato presentato fuori concorso allultima Mostra di Venezia, il caso di New Orleans era in tv; ma non lo era quando il film è stato girato. Ora, che alcune delle maggiori città americane sono allo stremo, è noto. E lo riconosce perfino Singleton, sebbene più vicino a Bush che a Moore.
In epoche di crisi, i ricchi si isolano in ghetti di lusso. Ma i poveri? Uccidono o sono uccisi. Poiché il movente della misera non è considerato una buona scusante, è il pretesto della vendetta che Singleton usa per scatenare quattro fratelli adottivi, un bianco (Mark Wahlberg), due no (Tyrese Gibson e André Benjamin), e un gayo (Garrett Hedlund). La loro madre adottiva, che li ha salvati dalla strada e dal riformatorio, è stata infatti assassinata per ragioni oscure. Subito i quattro si rivelano una degna frazione della sporca dozzina del film di Aldrich: torturano questo, ammazzano quello. Savvicinano alla verità, mentre la corruzione affiora ovunque, anche nella polizia. Raramente trionfa la giustizia, talora trionfano i giustizieri. E Four Brothers è darwiniano: qui vince il più forte, non il più buono.
FOUR BROTHERS di John Singleton (Usa, 2004) con Mark Wahlberg, Tyrese Gibson, 104 minuti
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