Troppo presuntuosa la fiaba piena di metafore politiche

Spagna 1944. Alcuni dissidenti lottano ancora contro l’esercito franchista. Il capitano Vidal (Sergi Lopez) è il braccio crudele dell’esercito. Sua moglie Carmen (Ariadna Gil) è incinta, la figlia undicenne della donna, Ofelia (Ivana Baquero), nata da un precedente matrimonio, vive una vita parallela in un universo magico, in un labirinto misterioso nel folto del bosco, tra creature mostruose ma amiche. La crudeltà del mondo reale si alterna con le magiche atmosfere di una vita forse solo immaginata ma che appare come il solo rifugio per la fanciulla. Si direbbe una favola dalle evidenti ambizioni visive, con scenografie che si ispirano a Goya, a Magritte e a tutta la cultura metafisica, ma un mostro autentico si aggira nel racconto, quello della visione politica, massimalista e convenzionale. In realtà al regista messicano Guillermo Del Toro interessa l’inderogabile ferocia del regime fascista, simbolo di tutti i mali del mondo, dimenticando altri regimi ancor più detestabili. Una metafora priva di onestà storica, con uno sbilanciamento fazioso alla ricerca di consensi da chi propugna l’ormai frusto «politicamente corretto». Un film antifranchista che non tiene conto che il franchismo ha traghettato, che piaccia o no, la Spagna in un presente democratico e progressista. Ma il destino della piccola Ofelia non è del tutto rassicurante. Forse Del Toro intende che anche Zapatero non rappresenta il futuro della Spagna.

Resta comunque l’aspetto formale, che offre immagini surreali e atmosfere arcane di notevole qualità, in tal senso il regista, piccolo maestro dell’horror, gioca la carta della metafora politica, che toglie il respiro poetico ad ogni contesto, a meno di non essere Bertolt Brecht.

IL LABIRINTO DEL FAUNO (Messico/Spagna, 2006) di Guillermo Del Toro, con Sergi Lopez, Ivana Baquero. 116 minuti

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