Manila Alfano
da Madrid
Valladolid, Spagna, a nord di Madrid. L'infermiera era arrivata puntuale come ogni mattina. In mano il mazzo di chiavi dell'appartamento di Jorge Leon, il suo paziente da quasi 6 anni. La sua collega aveva finito da poco il turno di notte. Sono gli angeli custodi di Jorge. Non lo lasciano mai solo, solo una manciata di minuti tra un cambio turno e l'altro, un po di traffico, un autobus che non arriva, mezz'ora al massimo. Questo è tutto il tempo che Jorge ha a disposizione per morire.
La donna apre la porta, un paio di riviste sotto il braccio, in casa un silenzio assordante. «Che strano - avrà pensato entrando - lo sbuffo cadenzato del respiratore meccanico quasi non si sente». Va di corsa in camera da letto. Jorge è lì, seduto sulla sua sedia a rotelle, le macchine spente. Accanto a lui un bicchiere vuoto. Più tardi la polizia troverà sul fondo tracce di sedativi. Jorge ce l'ha fatta. È riuscito a ottenere quello che voleva: liberarsi per sempre di una vita che era diventata un inferno. Il resto non conta. Il resto potrebbe essere semplicemente cronaca di un suicidio se non fosse per i suoi muscoli impotenti. Troppo deboli per qualsiasi movimento, inutili anche per chinarsi e staccare la spina che da troppi anni lo costringe a una sopravvivenza crudele. No, da quel maledetto giorno dell'incidente, a lui infermiere che si occupava delle sofferenze altrui, non era rimasto altro che la possibilità di muovere le labbra e un dispositivo collegato alla testa per maneggiare, seppure con enorme difficoltà, il computer. Una vita andata in fumo quando aveva 47 anni per uno scivolone in casa mentre faceva ginnastica aggrappato a una barra di metallo a due metri d'altezza. Jorge non ce l'avrebbe mai fatta da solo. Aveva un disperato bisogno di un complice, di una mano amica per fare quello che lui non poteva fare. E allora chi? Mentre la polizia indaga per trovare un colpevole da incarcerare, la Spagna si ferma e torna a riflettere sul diritto di morire. L'ultima volta, a smuovere le coscienze era stato Pedro Almodóvar, con il film Il mare dentro, in memoria di Ramon Sampedro, paraplegico e nessuna speranza di miglioramento. Era il 1998 quando Ramon - come Jorge - aveva deciso di farla finita. Anni dopo la compagna usciva allo scoperto dichiarando di averlo aiutato a morire. Oggi la stessa donna difende il coraggio di chi ha aiutato Jorge a morire e denuncia l'ipocrisia della classe politica.
Jorge alla fine ce l'ha fatta grazie a internet. Tutte le sue richieste alla giustizia di poter morire in pace, e legalmente, erano andate a vuoto. E anche la sua lettera al quotidiano El País, pubblicata nel gennaio dello scorso anno con il titolo «Parliamo di eutanasia» e con la firma «Jorge León Escudero. Pentaplegico. Valladolid», non era servita a smuovere le acque come forse sperava. Così, probabilmente, nasce l'idea del blog, che è un modo quasi quotidiano di sfogarsi, ma anche il tentativo di prepararsi una via d'uscita alle «sofferenze fisiche e psichiche».
Si presenta come «adulto pentaplegico dal 2000 con lesione midolla in C3» e lancia subito un avvertimento ai suoi potenziali lettori, soprattutto quelli che vivono un dramma simile al suo: «Che faccia attenzione chi si avvicini a queste note con spirito innocente e ancora carico della zavorra dei buoni sentimenti. Non troverete coraggio per andare avanti né consolazione affettuosa in questo angolo. Offro solo crude riflessioni senza speranza, con la freddezza della ragione padrona del suo destino inesorabile verso la morte. Quando c'è speranza si perde la possibilità di pensare razionalmente e affrontare la nostra morte liberi e senza paure».
È qui, in questo spazio anonimo che Jorge trova la «mano amica» sulla quale ora la polizia sta investigando, che ha raccolto i suoi tanti messaggi disperati diffusi in rete nell'ultimo anno sotto il falso nome di Lucas S. e ha messo fine alle sue «sofferenze indesiderate». «Ho bisogno della mano che sostiene il bicchiere, la mano abile che supplisca alla mia mano inutile, una mano che agisca secondo la mia volontà ancora libera: ho preparato tutto in modo che chi mi aiuta resti in incognito».
Finora l'unica traccia che la polizia è riuscita a trovare in casa di Jorge è una lettera scritta al computer e un cumulo di piste false per difendere l'anonimato del suo «salvatore». E poi Jorge lo aveva promesso sul suo blog il 21 marzo: «Ho tutto pronto affinché chi mi aiuti resti in incognito».
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