«Don’t cry for me Argentina», «Non piangere per me Argentina» cantava Eva Peron nel musical di Andrew Lloyd Webber. Ma questa volta a piangere sono sette sinti, milanesi d’adozione, che due anni fa in Spagna avevano rapinato i gioielli di Evita. Presi qualche mese dopo il colpo, l’altro giorno hanno anche perso la parte più consistente del bottino: due anelli, orecchini e una diadema che da solo vale 4 milioni. Sentendo il fiato sul collo dei carabinieri, uno degli ultimi complici in libertà ha infatti abbandonato parte della refurtiva in un albergo cittadino.
La vicenda ha come antefatto l’agonia di Maria Eva Duarte in Peron, colpita da tumore all’inizio degli anni Cinquanta. Mentre si sta spegnendo consegna a una persona di fiducia il cofanetto con i suoi preziosi raccomandando che, in caso di vendita, non vengano separati. Brillanti e pietre preziose, collane e orecchini, bracciali e anelli ma soprattutto il diadema regalato dai re d’OLanda alla moglie dello «descamisado» Juan Domingo Peron. Evita morirà poi a 33 anni il 26 luglio 1952 e da allora lo scrigno inizierà a girare per il mondo fino ad approdare in Spagna, presso la gioielleria «Joays Sofia» di Valencia.
E in Spagna nel 2009 sbarca con la sua corte, i suoi autisti e i suoi guardaspalle il solito ricco sceicco che vuole comprare i gioielli visti in autunno alla Fiera del Lusso di Valencia. Inizia la trattativa. I modi del magnate arabo sono convincenti, tanto che la titolare della «Joays Sofia» si reca nel suo albergo per concludere la vendita. In una lussuosa stanza i nomadi hanno preparato la trappola: una scrivania con il doppio fondo dove si nasconde un complice. Il pagamento infatti viene effettuato in contante controllato e contato dal venditore e poi riposto in un cassetto. Dove viene cambiato con soldi falsi dal bandito nascosto. A metà operazione la donna sospetta qualcosa, cerca di interrompere l’operazione ma viene aggredita dagli «arabi» che poi scappano con il tesoro. È il colpo più grosso a livello europeo mai tentato con la tecnica del «rip deal». Da «rip», strappo, e «deal», affare.
Le indagini della polizia spagnola si concentrano su Milano, in particolare su Cusago dove vive una fiorente comunità di sinti originari della Serbia, ma ormai stanziati nel milanese, specializzati in questo genere di colpi. Truffatori abilissimi, poliglotti, con grosse disponibilità che permette loro di finanziare con somme ingenti i loro colpi. Per conquistare la fiducia di un orafo possono spendere senza battere ciglio anche 100mila euro per un gioiello.
Gli investigatori si mettono in contatto con i carabinieri del Reparto Operativo, guidato da Lorenzo Falferi, e del Nucleo investigativo, diretto da Antonino Bolognani. A maggio scattano gli arresti: sei in Spagna e 1 a Milano, tutti nomadi tra i 24 e i 47 anni. Ne rimangono fuori altri due o tre ricercati, com’è ricercato il bottino. E forse sentendo il fiato sul collo dei carabinieri decidono di mollare, se non addirittura far trovare, parte del bottino nella speranza di placare gli investigatori. Così in una stanza dell’hotel Silver, fatalità proprio a Cusago, i militari trovano anelli, orecchi e il favoloso diadema.
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