Serialità

"True detective" all'italiana tra il Lazio e l'oscurità

Presentato "Dostoevskij" dei fratelli D'Innocenzo, a metà fra film e serie tv. La star è Filippo Timi

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È una serie o un film lungo sei ore? «In realtà per me è romanzo», risponde Fabio D'Innocenzo, vestito rosso sgargiante («Sembro Jocker», dice autoironico), che con il fratello Damiano ha creato, scritto e diretto Dostoevskij presentato ieri al 74esimo Festival internazionale del cinema di Berlino nella sezione «Berlinale Special». Gli eccentrici fratelli D'Innocenzo non sono nuovi al festival tedesco perché ospitati nella sezione «Panorama» nel 2018 con il fulminante esordio La terra dell'abbastanza per poi arrivare a vincere l'Orso d'Argento per la sceneggiatura nel 2020 con la loro opera seconda, Favolacce. In mezzo i gemelli romani hanno realizzato America Latina con Elio Germano film su cui, svela oggi Damiano, «sono critico perché ci siamo concentrati su un personaggio quasi borghese, quando non raccontiamo la storia degli ultimi non va bene».

E chi è l'«ultimo» protagonista del noir Dostoevskij che non ha nulla a che fare, apparentemente, con il grande scrittore russo, il preferito dei registi? È il poliziotto Enzo Vitello, uomo dal passato doloroso e tormentato, ossessionato da un killer seriale che uccide con una peculiarità: accanto al corpo lascia una lettera firmata «Dostoevskij» con la propria desolante visione del mondo, della vita e dell'oscurità che Vitello sente risuonare al suo interno.

Nei panni del poliziotto a capo della squadra che per anni ricerca il killer troviamo Filippo Timi talmente folgorato sulla via dei fratelli D'Innocenzo da voler rendere realistiche tutte le emozioni del suo personaggio, per dire «il vomito è vero, due dita in gola ed è fatta»: «Conosco a memoria dei pezzi di sceneggiatura e considerate che io non ci vedo più molto. Ma quando leggi: Un cielo con un temporale feroce come un litigio tra fratelli, c'è un'invenzione che magari uno aveva dentro ma finché non è nera su bianco...». Nel ruolo del suo capo, Antonio Bernardi, che è l'unico che lo capisce c'è Federico Vanni mentre in quelli del collega Fabio Buonocore che vuole fargli le scarpe c'è Gabriel Montesi (già visto nel loro Favolacce). Completa il cast principale Carlotta Gamba (già protagonista del precedente America Latina) nel ruolo di Ambra, la figlia tossica del superpoliziotto.

Prodotto da Sky Studios con Paco Cinematografica, Dostoevskij è per Nils Hartmann, produttore esecutivo per Sky dove la serie approderà dopo la distribuzione in due parti nelle sale cinematografiche con Vision Distribution, probabilmente a giugno anticipano i registi, «la True Detective italiana, qui i non luoghi dell'Alabama i registi li trovano nel Lazio».

In effetti chi ha già avuto la fortuna di vedere tutto Dostoevskij di seguito, come il sottoscritto, ha avuto modo di apprezzare l'ambientazione e l'atmosfera che sono la testata d'angolo su cui è costruita tutta la serie la cui magnifica grana è data dal lavoro del direttore della fotografia Matteo Cocco che ha usato la pellicola, per la prima volta nella sua già importante carriera (è il più giovane negli ultimi dieci anni ad aver ottenuto il premio David di Donatello nel 2021 per Volevo nascondermi di Giorgio Diritti) e in quella dei D'Innocenzo.

Così come è da sottolineare il montaggio preciso di Walter Fasano che dà il ritmo interno a un racconto che gioca più sulla introspezione dei personaggi che sul creare effetti e attese di episodio in episodio nel pubblico. Anzi, dice Fabio D'Innocenzo, c'è quasi un tentativo di andare contro il momento sorprendente What the fuck delle piattaforme tanto che «la predisposizione all'essere fuori moda era una prerogativa di tutto il team» perché «raccontiamo l'inverno di un essere umano, un uomo che ha il dovere ma anche il desiderio di inseguire un altro essere umano, con profumi e sapori anche sgradevoli di morte.

Tutto è altamente scarnificato per andare all'essenza di un archetipo, quello del detective».

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