Il turco Cemal Sureya, un classico alle prese con l'amore a Istanbul

Un poeta che paragona occhi infinitamente lunghi e infinitamente allungati all'intera Muraglia cinese

Il turco Cemal Sureya, un classico alle prese con l'amore a Istanbul
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L'uscita di un libro come questo di Cemal Sureya, Tutte le canzoni di Istanbul (Bompiani, pagg. 321, euro 25) curato ottimamente da Nicola Verderame, offre l'occasione di riflettere su che patrimonio di cultura e di poesia abbia un Medio Oriente di cui oggi si parla solo per drammatiche ragioni geopolitiche. La Turchia ha avuto tra i suoi poeti e sapienti un iniziatore del Sufismo come Yunus Emre, deliziosi poeti mistici ed erotici come Fuzuli o Sheikh Galip, eleganti poeti di corte come Nefi o Nedim, e nel Novecento ha dato alla poesia mondiale un grandissimo come Nazim Hikmet. Se tra i prosatori ha un premio Nobel come Orhan Pamuk, i suoi poeti non sono di minor valore: ricordo almeno Ilhan Berk, patriarca della poesia turca del Novecento, che una sera incontrato a una cena mi disse di considerare suo maestro il nostro Giuseppe Ungaretti, e poi, tra quelli nati dopo Cemal Sureya, che è del 1931, Enis Batur e Tugrul Tanyol, di cui Verderame ha tradotto Il vino dei giorni a venire che chi scrive ha recensito su questo giornale. Cosa rende la poesia di Cemal Sureya così affascinante? La presenza dei temi dell'amore e della libertà, declinati lungo la skyline magica di quella città molteplice e insondabile, una delle autentiche capitali del mondo, che è Istanbul. L'amore in questo libro è dolcemente, sommessamente erotico e carnale. C'è tanta nudità, e c'è chi deve andare a lavarsi la voce dopo aver fatto tanto l'amore al telefono. Nella poesia intitolata Elogio c'è tutto il piacere del risvegliarsi insieme, tutto il corpo di una donna "così bello che più non si può", le sue mani, i piedi, le chiome, gli occhi, le braccia, una paradossale rivendicazione di innocenza: "ogni peccato tra noi è da spartire a metà", e c'è il ricordo di un primo bacio su un traghetto che navigava sottocosta, mentre "tre braccia più in là scorreva Istanbul/mi sono chinato a baciarti dolcemente/ i pesci scorrevano via accanto a noi".

Realismo e metafora visionaria si accompagnano e fondono in un poeta che vede dove finisce il viso cominciare il corpo di donna con i suoi seni "eroici". Un poeta che paragona occhi infinitamente lunghi e infinitamente allungati all'intera Muraglia cinese, che immagina che Marilyn Monroe morta sia diventata l'amante di Nietzsche in paradiso, che costruisce a partire dal bestemmione di un amico una cascata di immagini liberatorie, serrature aperte dalla chiave di quella imprecazione eversiva.

Nel libro si trovano componimenti in distici che ricordano quelli classici del gazal, e forme metriche abilmente maneggiate, come quelle della lunga sequenza di testi intitolata Lettera d'autunno, composti da due quartine e un distico che chiude sempre, ritmicamente, e in modo struggente, con lo stesso verso: "T'avessi amata anche solo per questo". L'amore è forza che riordina, ridisegna, ma anche libera e scardina.

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