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Tutti a Casa di Obama: c'è il Superbowl in tv

Per una notte gli americani dimenticano tutto: arriva il 43esimo Superbowl. Tutti i numeri del match-evento. Quando Putin si portò a casa l'anello

Tutti a Casa di Obama: 
c'è il Superbowl in tv

Mister President li ha convocati tutti nella sala teatro della Casa Bianca, gli uomini più fidati del Congresso, repubblicani e democratici, per una questione grave che interessa la nazione, qualcosa di più urgente della crisi economica, di più spaventoso del terrorismo, niente che interessi di più, almeno per una notte cento milioni di americani: il Superbowl numero 43, la finale del campionato di football americano, Pittsburgh contro Arizona, Steelers versus Cardinals.

«Il presidente ha piacere di vedere il Superbowl insieme a loro - ha spiegato il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs, evitando accuratamente di svelare i nomi dei parlamentari invitati - Sarà anche un modo per mettere esponenti dei diversi schieramenti nelle condizioni di conoscersi meglio e cercare di capire come lavorare insieme per il bene del Paese». Su una sola cosa però il presidente non transige: «Auguro ogni bene ai Cardinals ma io tifo per Pittsburgh, sono il team che sento più vicino al cuore». Merito dell’amicizia che lo lega al proprietario degli Steelers, Dan Rooney, suo accanito sostenitore insieme al coach Mike Tomlin. Okay, mister President, non sarà un problema per noi. Il problema semmai sarà la crisi.

L’atmosfera è grigia, nemmeno paragonabile alla vigilia del Superbowl dell’anno scorso tra Giants e Patriots che incrociò il Supertuesday, che inaugurò il voto delle Primarie. Anche allora Obama era lì con un spot sulla Fox, 30 secondi, costo 2,7 milioni di dollari, 100 milioni di persone raggiunte. Adesso è molto più grigia. L’Nbc, che si è comprata i diritti tv, ha bloccato i contratti pubblicitari la scorsa estate, cioè prima della crisi, ma era un’America diversa, più ricca, meno triste. Molti degli spot, 3 milioni di dollari per 30 secondi di pubblicità, se li è acquistati la rete stessa per sponsorizzare, in mancanza di meglio, i programmi futuri e a Tampa, Florida, dove si gioca il Superbowl, nessuno si sogna l’incasso complessivo, indotto compreso, di 500 milioni dell’anno scorso, anzi il ribasso quest’anno sarà di almeno il il 16 per cento. Se va bene. L’unica novità sarà nella sicurezza. Per controllare le centomila persone attese al Raymond James Stadium oltre agli abituali servizi di sicurezza ci saranno squadre di agenti specializzati nell’analisi del comportamento: capaci di controllare cioè, senza essere visti, il modo di comportarsi dei singoli tifosi, se hanno tic nervosi, se hanno un fare sospetto, se guardano o meno negli occhi l’ufficiale che li controlla, cose che già si fanno negli aeroporti ma mai prima d’ora in uno stadio.

Protesta il sindacato per la Libertà dei Diritti Civili, ma inutilmente. Proprio l’anno scorso un tipo venne intercettato in uno dei parcheggi dello stadio di Phoenix, aveva un fucile in mano e voleva fare una strage, lo tradì proprio il comportamento sospetto. Rischi particolari, almeno sulla carta, non ce ne sono, per quello di Phoenix l’antiterrorismo dichiarò lo stato di massima allerta. Adesso l’allerta è un’altra, si chiama crisi economica.

E per placcarla bisognerà giocare duro. Vero, mister President?

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