Tutti in fila per vedere il cadavere E Mubarak piange davanti alla tv

Quando lo ha visto in tv con quel suo testone spelacchiato, il sangue che gli scendeva dalla tempia e gli occhi ormai rivolti all’insù, Hosni ha avuto paura. Così paura da sentirsi male. Era Gheddafi a morire, ma Mubarak ha visto il riflesso di se stesso. Un altro tiranno ammazzato come un cane, il suo corpo trofeo da esibire. Il popolo che urla di gioia, che brandisce armi e fucili e festeggia. Hosni senza scettro, in una stanzetta di ospedale, si è sentito così maledettamente solo e impotente. Poteva esserci lui al posto di Gheddafi. Sirte come il Cairo. Il vento di rivolta ha iniziato a soffiare prima a casa sua. A piazza Tahrir i manifestanti gridavano il suo nome, volevano la sua morte. E lui ha fatto sparare sulla folla. Finora solo la malattia lo ha protetto e difeso.
Per il momento è andata bene a Hosni. Eppure quando arrivano quelle foto di morte Hosni trema. In televisione quelle immagini indecenti e spaventose che gli passano sotto gli occhi sono peggio di una maledizione, di un avvertimento. L’orrore di quella faccia senza vita del Raìs, quel corpo pestato e nudo a Mubarak fa più paura che a tutti gli altri. Oggi in Libia c’è la fila per vedere quel corpo del Raìs ammazzato, sistemato su un materasso sporco di sangue nella cella frigorifera di un vecchio macello a Misurata. Vengono in tanti a vedere il cadavere rigido e sporco. Arrivano da Sirte, ma anche da Tripoli e Zliten. Il volto girato, a nascondere il foro sulla tempia del proiettile che ha messo fine alla sua esistenza. Sul corpo sono visibili le ferite riportate probabilmente dopo essere stato strattonato e calpestato al momento della sua cattura. Un funzionario ha detto che è stata anche eseguita l’autopsia sul corpo che verrà restituito ai familiari. Accanto a lui il figlio Mutassim, ucciso a Sirte nelle stesse ore in cui moriva il padre, sempre sistemato su un materasso. La macabre immagini dei due cadaveri stanno facendo il giro del mondo e i video sono continuamente cliccati su YouTube insieme ai commenti dei reporter sul posto. Le donne di Gheddafi invece scappano. Saifa e Aisha, la vedova e la figlia, sarebbero dirette in un Paese del Golfo. Un accordo infatti fra un Paese del Golfo e l’Algeria, dove le due si erano rifugiate, era stato raggiunto prima dell’uccisione del Raìs. Lo stesso Paese però si è rifiutato di accogliere anche i due figli di Gheddafi, Mohamed e Hannibal, pure fuggiti in Algeria. A Tripoli le macchine sfilano in festa per la morte dell’ex leader. Nella Libia del dopo Gheddafi, la caccia ai figli del Colonnello, in particolare del delfino Saif al-Islam, continua. Il popolo vuole arrivare fino in fondo. Non deve rimanere nulla del vecchio regime. Sono i giorni peggiori, i più violenti e i più pericolosi. Dall’altra parte c’è la tribù di Gheddafi. I perdenti, che hanno nominato Saif al Islam, figlio maggiore di Gheddafi, suo successore alla testa di quella che hanno definito «la guerra di liberazione». Chi vuole pensare al futuro invece parla di elezioni. C’è già una data, tra otto mesi, assicurano.
Al Cairo Hosni Mubarak è solo, in quell’ospedale militare. Non ci sono i consiglieri, gli uomini di Palazzo non corrono a portare messaggi. Nessuno glielo aveva anticipato eppure lui lo immaginava. Hosni vede il suo destino specchiato in un telegiornale. Il tiranno ammazzato come un cane, il cadavere usato come un trofeo, il suo corpo straziato e umiliato in mezzo alle grida dei nemici che festeggiano, inneggiano «Allah Akbar». Poteva essere suo quel corpo. Mubarak riesce quasi a sentire quel dolore che deve aver sentito il suo collega libico. E lui ora lo avverte sulla sua pelle fredda e sudata. E sente -peggio di tutto- anche quella canna di pistola, pesante e gelata puntata sulla tempia del Raìs. L’imperatore piange.

È un bambino che trema, rannicchiato nel suo lettino. I nervi gli cedono, urla, grida, implora e bestemmia. Hosni rischia l’infarto. I medici devono intervenire a sedarlo. La malattia è la sua ancora. Lui si aggrappa e prega di non fare quella stessa fine. Almeno lui no.

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