Una pellicola giovane, manifesto di una generazione. È «Fuga dal call center», il nuovo film di Federico Rizzo sul problema del lavoro precario, raccontato personalmente dalle voci di chi, con una cuffia sulle orecchie e perennemente al telefono con sconosciuti, si è sentito profondamente solo e sfruttato e ha smesso di sognare (forse per sempre) una vita migliore. A tratti può sembrare un documentario, ma è un film sperimentale (come il circuito nel quale verrà proiettato), che con ironia fa sorridere amaramente sui sogni infranti dei laureati trentenni d'Italia, costretti a ricorrere ad un posto di lavoro nel tanto odiato call center. È un racconto fresco e disperato, uno specchio della società dei nostri anni di crisi, che mostra il destino di quei giovani che dopo una lode accademica speravano ancora nell'eccellenza, ma che in poco tempo si ritrovano, senza prospettive, ad accettare un lavoro umile e sottopagato, pur di saldare l'affitto e tenersi stretta la propria indipendenza.
Tra le storie di tanti, ci sono Gianfranco e Marzia (gli attori Angelo Pisani e Isabella Tabarini), una coppia di fidanzati che sognano ancora una famiglia e che, preoccupati per una Milano «terribilmente cara», si organizzano cercando anche un secondo lavoro. Per scrivere la sceneggiatura, il regista ha raccolto oltre mille interviste in tutta Italia, in cui si contano oltre 250mila lavoratori di call center, di cui il 10% opera proprio a Milano. All'anteprima del film ha spiegato: «Io stesso ci ho lavorato per 3 anni e so bene cosa significa stare seduti per ore davanti a un monitor... Oltre alla frustrazione per lo sfruttamento e al crollo delle aspettative, in questo film aleggia il fantasma della generazione precedente, ancorata al vecchio posto di lavoro, e compare la malattia del nostro secolo: la depressione. Contro questo male l'ironia è un'arma importante: permette di riflettere e raccontare anche il drammatico e spero solleciti la politica a riflettere sulle vere esigenze dei cittadini». Dalla realtà alla fiction e viceversa, «Fuga dal call center» appare come uno spaccato della società, una carrellata su piccoli eroi-postmoderni, che simbolicamente portano sulla testa una corona di spine, più che una semplice cuffia. Ma tra le pressioni dei datori di lavoro assillanti e gli «open space», dove guardare il vicino collega negli occhi sembra unutopia, c'è ancora chi cerca un riscatto; c'è chi, stanco e arrabbiato, dietro l'apparente appiattimento generale è ancora un «essere pensante», cosciente che il precariato sia una scelta forzata, purtroppo sempre meno temporanea. Realizzato grazie all'aiuto di istituzioni, tra cui Regione Lombardia e Comune di Milano, e girato fra le strade del capoluogo lombardo, il film sarà proiettato al Cinema Mexico di via Savona da venerdì 24.
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