«Tutti in giacca, please». Ma i consiglieri si dividono

Gasperini (Udc): «Peccato che ora D’Erme non sia più consigliere»

Massimo Malpica

Sarà la temperatura canicolare, o forse solo il fastidio di sentirsi vincolati a un abbigliamento più formale, di certo il presidente del consiglio comunale, Mirko Coratti, non si aspettava tante reazioni quando ha scritto ai suoi onorevoli colleghi invitandoli «a tenere in Aula un comportamento consono all’Istituzione, anche per quanto riguarda il proprio abbigliamento», consigliando di indossare la giacca. Il suggerimento del «moderato per Veltroni» ed ex forzista ha diviso i consiglieri, incontrando maggior consenso nell’opposizione, da Gianni Alemanno a Vincenzo Piso e Marco Marsilio, felici di arginare lo stile-canotta ma non convintissimi che il decoro formale sia quello che manchi di più in Campidoglio. Ma tant’è. Coratti spiega che già dalla scorsa consiliatura soffriva per quel «tono nel comportamento in aula a volte un po’ troppo “casual”». E l’attenzione al look, insieme al cambio di partito, d’altra parte è un po’ la cifra stilistica dei «Moderati per Veltroni». Quando la lista finì fuori dai giochi per la nuova giunta per rispettare le quote rosa, l’altro consigliere del gruppo, Gianfranco Zambelli, commentò rassegnato: «Noi non abbiamo minigonne, tacchi a spillo e capelli lunghi». Ma il primo riscatto della giacca era dietro l’angolo: in cambio dell’assessorato perduto, Coratti incassò la presidenza dell’assise che sembrava destinata a Monica Cirinnà. Che ieri, ricordando che «non è l’abito a fare il monaco» non ha perso l’occasione per dispensare un consiglio al giovane collega: «Essendo la decana del consiglio comunale - ha chiosato - so per certo che una lettera serve a poco, bisogna confidare soprattutto nel buon senso di tutti i consiglieri». Ben più polemica l’altra donna a commentare lo scottante affaire-blazer, Adriana Spera (che stoppò un provvedimento simile già nel 2002): «È una violazione del diritto ad avere i propri canoni estetici. Se qualcuno si presentasse in aula in bermuda non sarei d’accordo. Ma va ricordato che non rappresentiamo solo chi va in giro in giacca e cravatta». Tanto più ora che il Campidoglio è orfano di Nunzio D’Erme e delle sue t-shirt d’ordinanza: non a caso il capogruppo Udc Dino Gasperini approva la proposta ma, aggiunge, «mi sarebbe piaciuto che fosse stata sollevata quando in consiglio c’era D’Erme». E si crea un curioso asse tra i capigruppo di Fi, Michele Baldi, e del Pdci, Fabio Nobile. Uniti nel chiedere, causa eccesso di umidità, una deroga per poter togliere la giacca almeno quando si è impegnati in estenuanti interventi o durante le discussioni, «altrimenti si suda». È solo una questione di fantasia per il Verde Giobbe Covatta, che si domanda se vanno bene le righe o se sono preferibili i quadretti: «fatemelo sapere», ironizza, mentre Carlo Antonio Fayer della civica per Veltroni riprende il paragone balneare della Spera: «Non andare in Aula in bermuda è un conto, ma credo che il decoro sia un’altra cosa.

Non credo che il rispetto per la persona corrisponda alla qualità del suo abbigliamento». Ditelo a Cesare, per esempio. Che veglia da sempre a braccia nude e con le gambe scoperte sui consiglieri capitolini sotto di lui.

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