Tutti i flop del magistrato che spia i vip

Il pm Woodcock da Napoli in 10 anni di attività ha già collezionato una lunga serie di inchieste fallimentari: da Vallettopoli alla massoneria i suoi teoremi crollano per vizi di competenza e per l’abuso di intercettazioni

Tutti i flop del magistrato che spia i vip

Milano - La sua specialità sono le inchieste-matrioska. Dentro ci trovi di tutto: politici, banchieri, teste coronate, vip e oggi giornalisti. Le inchieste di Henry John Woodcock sono un catalogo dell’Italia che conta. È così da quasi dieci anni, da quando il pm anglonapoletano è apparso come una stella di prima grandezza nel firmamento delle procure. Da allora il suo quartier generale, la periferica Potenza, diventa il crocevia di indagini sensazionali, arresti clamorosi, vip alla sbarra; difficile districarsi in questo parterre affollato di imputati luccicanti. Molti, moltissimi, vengono intercettati e l’uno tira l’altro nel baratro. Ma alla fine, il banalissimo problema della competenza costringe il pm a fare a pezzi i suoi collage. E a inviarli ai colleghi di mezza Italia che, più di una volta, dopo aver attentamente letto gli atti, archiviano.

Nel 2002 Woodcock scopre tangenti in Val d’Agri e affari illeciti collegati all’Enel. Già che c’è decapita i vertici dell’Inail, ma poi sei degli indagati sono rimessi in libertà dal tribunale del riesame di Potenza. L’anno dopo, scatta il Vipgate: settantasei indagati eccellenti, un campione sociologico dell’Italia di oggi, dall’ex leader della Cisl Sergio D’Antoni al chiacchierato ex fidanzato di Elisabetta Tulliani, Luciano Gaucci. Tony Renis, reattivo, mette le mani avanti: «Il mio legale mi aveva avvisato: vedrai, che prima di Sanremo ti sospetteranno anche per il delitto di Cogne. Quasi ci siamo». Maurizio Gasparri, pure risucchiato in uno dei filoni dell’indagine, esprime il proprio disagio con una battuta fulminante: «Potrei dire di trovarmi in compagnia degli invitati alla prima della Scala senza esserci neppure andato». L’inchiesta, come si capisce dal fragoroso rotolare di tante teste, è ambiziosa. Forse, troppo. Si contestano reati pesanti: associazione a delinquere, turbativa d’appalto, estorsione, corruzione e favoreggiamento. Ma si è persa per strada la geografia. Il gip respinge una quarantina di arresti con la più disarmante delle motivazioni: l’incompetenza territoriale. Woodcock si è allargato troppo. Le carte vengono inviate a Roma e la capitale archivia. Woodcock diventa (come lo ribattezzerà Panorama) Woodflop.

Lui però non si scompone e ragiona sempre in grande. Nel 2005 mette nel mirino i falsi invalidi, nel 2006 scoperchia Vallettopoli. E ascolta star e starlette. I risultati sono sempre gli stessi: gran parte delle contestazioni finisce nel solito archivio. Nel caso di Vallettopoli i faldoni vengono spacchettati e lo spezzatino prende la strada di Potenza, Roma, Milano, Torino. A Milano viene condannato un solo imputato: Fabrizio Corona, il resto si perde per strada. Come evapora il Savoiagate, cominciato con la clamorosa cattura di Vittorio Emanuele di Savoia, ridicolizzato davanti all’Italia intera da una valanga di intercettazioni. Prima Como e poi, il 23 settembre scorso, Roma smontano l’impianto accusatorio: «Il fatto non sussiste». Anzi, va in pezzi. La sera del 16 giugno 2006 Roberto Salmoiraghi, sindaco di Campione d’Italia, viene ammanettato in smoking mentre sta andando ad un galà di beneficenza al casinò. Lo accusano, nientemeno, di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione e corruzione in accordo con il principe. Resta in carcere per quindici giorni, poi va ai domiciliari. Intanto, il suo legale, Massimo Dinoia, uno dei più noti penalisti italiani, infilza i capi d’imputazione: «Non hanno né capo né coda».

Il capitolo successivo pare la replica di un film già visto. Potenza non può tenere le carte perché i reati sarebbero stati commessi all’altro capo della stivale. In riva al Lago, il pm studia quelle pagine e le spedisce in archivio, senza arrivare neppure ad un processo. Addirittura, senza nemmeno dover sentire Salmoiraghi. Non ce n’è bisogno. Lui non c’entra con le prostitute e nemmeno con le tangenti. Possibile?

Woodcock avanza imperterrito. E si scontra con la massoneria chiedendo a tutte le 103 procure italiane gli elenchi delle logge con i nominativi degli iscritti. Il gran maestro Gustavo Raffi la prende male: «Se Woodcock mi chiede alcuni nomi, nessun problema. Se però pretende l’elenco dei nostri 18.500 iscritti, allora sono di altro parere».

Anche i giudici sono di altro parere. Anzi, lo stesso Woodcock non trova «elementi idonei - come si dice in questi casi - a sostenere l’accusa in giudizio». E pure l’indagine sulla massoneria si spegne. Come finisce in un vicolo cieco il fascicolo aperto su Impregilo. Lo schema è quello classico. Il trasferimento a Milano per la solita questione della competenza, ma con una variante: i magistrati di rito ambrosiano archiviano perché la Procura ha dichiarato inutilizzabili le intercettazioni.

L’anno scorso il grande balzo: da Potenza a Napoli. E dalla lontana Napoli Woodcock scruta con il suo potente cannocchiale le telefonate del Giornale. Poi fa scattare le perquisizioni. Il giro d’Italia può ricominciare.

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