Tutti innamorati della Malvasia

Gabriele Zanatta

Nei Paesi vicini ha seminato splendide tracce soprattutto a Sitges, in Catalunya, e in Istria. Da noi ha finito per colonizzare anche Castelli Romani, Monferrato, Collio, Chianti, Alto Adige, colli piacentini. E la sua lunga mano è planata anche in Sudafrica, California, Cile, Australia. La famiglia della malvasia conta oggi su un numero biblico di figli di passaporto diverso. Ma i suoi primi grappoli, bianchi e allungati, spuntarono millenni fa a Monemvasia, porto greco del Peloponneso da cui salpò per un’odissea che, più serena di quella della ciurma di Ulisse, non trovò resistenze nelle isole del Mediterraneo. Grazie alla recente rassegna Malvasia wine & tour siamo riusciti a tirare le fila di quest’esodo secolare, almeno nei suoi approdi isolani più felici.
MALVASIA DELLE LIPARI. Di tutte le 17 doc di malvasia a registro in Italia, quella delle Lipari è certo tra le più interessanti. Il suo disciplinare prevede da più di 30 anni malvasia naturale (da pasto), passito di malvasia (dessert) e malvasia liquorosa, tre tipi il cui taglio deve essere appena ambrato da un 5-8% di Corinto nero. Inutile dilungarsi sui bi-millenari trascorsi eoliani di questo nettare che comunque, a fine Ottocento, trascinava qui poeti come Guy de Maupassant, stregato dalle esalazioni dello «sciroppo di zolfo». La prima Malvasia delle Lipari come la intendiamo oggi fu partorita negli anni Trenta da Nino Lo Schiavo, intellettuale che la usava anche per ripagare i favori al medico di famiglia o all’avvocato. Da malvasia del disobbligo che era, oggi è il nettare che fa ammattire una sessantina di produttori, quasi tutti asserragliati a Salina, la più schiva delle sette isole (ma c’è qualche fazzoletto vitato anche a Vulcano, Lipari e Filicudi). Ammattire perché la definizione «angeli matti» di Luigi Veronelli ben calzerebbe anche a questi produttori che si fanno il mazzo su vigneti con pendenze da brivido, imprecando per gli impianti obsoleti e per la manodopera che spesso non si trova neanche a cercarla col lanternino. In queste condizioni, nel 2005 sono riusciti a produrre 500 ettolitri di malvasia, molti passito: l’appassimento delle uve per 7-15 giorni su graticci di canne sui tetti delle case è una pratica mitologica, in senso temporale e qualitativo.
Tra i matti più blasonati c’è Carlo Hauner, 090.6409427, 12 ettari vitati da cui escono, oltre a superbi capperi (dop), cucunci (i frutti della pianta del cappero, ottimi sottaceto) e malvasie naturali e passito, poche e preziose bottiglie di un Riserva invecchiata in botti d’acciaio. C’è poi l’azienda Fenech, 090.9844041, 4 ettari strappati alle pendenze del comune di Malfa: non si sa se sia più folkloristico il suo patron Francesco, melodrammatico armadio d’origini maltesi, o più aromatico e ben strutturato il passito che imbottiglia. E si fa un torto a non citare i malvasia da dessert di Virgona, Antonino Caravaglio (presidente del Consorzio di tutela locale), Barone di Villagrande, Giona o Salvatore D’Amico, uno che col suo passito fa uscire di senno i reali del Belgio. Salvo schermaglie tutte siciliane, le loro fatiche dovrebbero esser presto riconosciute da una “g” in più, quella della Docg.
MALVASIE DI SARDEGNA. La malvasia si esprime anche con una splendida cadenza sarda. Anzi, due. La prima è quella più femminile e delicata di Bosa, borgo della trascurata (chissà perché) costa occidentale della Planargia. La seconda è quella più strong, mascolina del Campidano, attorno a Cagliari, nel sud dell’isola. La Malvasia di Bosa, con la vicina Vernaccia di Oristano, è stata tra le prime italiane a ottenere la doc, disciplinare che prevede 5 tipologie: dolce naturale, secca, liquorosa dolce naturale, liquorosa secca e liquorosa dry. I 450 produttori, qui eroici più che altro perché non piove mai, si spartiscono 300 ettari vitati a malvasia. Segnaliamo il Bianco secco imbottigliato da Battista Columbu, 0785.373380, e il sorprendente spumante demi-sec della Cantina Sociale di Planargia, 0785.34866. La Malvasia di Cagliari, doc dal 1979, può essere invece dolce, secca o liquorosa: nel Campidano le continue brezze marine, oltre ad alleviare dalla caldazza, danno forma a vellutate pozioni come la Gutta ‘e axina dell’azienda Villa di Quartu, 070.826997.
MALVASIE ATLANTICHE. Nel suo peregrinare, il vitigno ha valicato anche le Colonne d’Ercole, virando subito a sinistra verso Madeira e Canarie, due avamposti eccezionali. Nell’isola portoghese, malvasia si dice «malmsey», storpiatura anglosassone che non cambia la sostanza, anzi la cambia parecchio: dalla terra dei vini fortificati escono in prevalenza nettari liquorosi invecchiati di qualità superiore come il 10 years old di Justino’s Madeira, www.justinosmadeira.com. Nell’arcipelago spagnolo, invece, si sbizzarriscono con tre tipi di malvasia bianca, ognuno col nome di un’isola: Malvasia di Tenerife, di Lanzarote e di La Palma. Solo quella di Tenerife comprende 5 doc. E a La Palma fanno crescere l’uva anche su aridi terreni di lapilli, con muriccioli di pietra cinti a proteggerle. La cantina di riferimento è la El Grifo di Lanzarote, www.elgrifo.com.

Menzione finale per le malvasie di Candia e di Candia aromatica, due varietà appena reimpiantate sull’isola di Creta, www.cretanwines.gr: in Grecia stanno cercando di riportare la malvasia all’ovile. Fosse Itaca, sarebbe un finale di odissea perfetto.

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