Tutto ebbe inizio con un’ereditiera

La collocazione dell’edificio che ospita il Museo Nazionale d’Arte Orientale, ingresso sulla via Merulana a due passi da piazza Vittorio, non potrebbe essere più appropriata, oggi che i vecchi romani doc condividono il quartiere con i nuovi abitanti, molti dei quali provenienti proprio dai Paesi orientali. Ma l’aria internazionale che si respira in zona non è cosa nuova, e lo stesso palazzo Brancaccio, sede del museo, ne è un esempio. La fastosa residenza fu fatta erigere da Mary Elizabeth Bradhurst Field, facoltosa newyorkese che acquistò dal Comune di Roma l'area del Convento delle Clarisse nel 1879. Solo più tardi, con il matrimonio di sua figlia Elisabetta con un Brancaccio, il palazzo assunse l’attuale denominazione. Il museo, che occupa proprio l’appartamento che fu dei principi Elisabetta e Salvatore, fu aperto al pubblico nel 1958 e conserva innanzi tutto i materiali di scavo frutto delle missioni archeologiche dell’Istituto italiano Arte Orientale. Negli anni si è andato arricchendo di opere provenienti da diversi Paesi ed estende oggi il suo interesse espositivo a tutte le regioni dell’Asia, dal Mediterraneo al Giappone. In qualità di Istituto di ricerca svolge compiti di tutela del patrimonio e di consulenza nei settori di sua competenza; offre una biblioteca specializzata, un laboratorio di restauro, un archivio fotografico.

Il servizio di bio-archeologia arricchisce ulteriormente questa prestigiosa istituzione di cui poco si parla e che rischia di perdere l'autonomia direttiva a causa della riduzione del 5% della spesa di organico prescritta dalla legge finanziaria 2005 per le Pubbliche Amministrazioni.

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