Ulivo, una lista senza grandi nomi Ferrante: «A noi non servono»

Scelti i 60 candidati Ma l’aspirante sindaco è ancora senza squadra

Gianandrea Zagato

«È una lista che va al di là dei grandi nomi nazionali che il centrodestra candida a Milano». Pausa. «A Milano non ci servono i grandi nomi nazionali». Silenzio. Franco Mirabelli finge di non aver sentito l’aspirante sindaco del centrosinistra, Nando Dalla Chiesa imita il segretario provinciale Ds e Pierfrancesco Majorino si guarda la punta delle scarpe. Idem fanno gli ulivisti che assistono alla presentazione dei candidati del listone.
Altrimenti? Be’, scoppierebbero anche loro in una grassa risata come quella dei cronisti che, diversamente dall’ex prefetto, non dimenticano quanto sia stato travagliato il parto della lista ulivista, con quei «grandi nomi nazionali» indisponibili a scendere in campo e, poi, quella questioncina poco gradita del tandem capolista di sole donne. Memoria che difetta a Bruno Ferrante o, forse, come commenta un esponente dell’Ulivo, «ha pure lui già imparato a farsi male da solo». Osservazione che appare centrata quando l’ex inquilino della prefettura annuncia di «auspicare per Milano un vicesindaco donna».
I vertici della Quercia vorrebbero sprofondare: sanno che quella poltrona scotta, che quel posticino assai appetito da Rifondazione, loro, l’hanno già assegnato a Carlo Cerami, coordinatore del Botteghino milanese. Anche Alberto Mattioli della Margherita resta basito: al vicepresidente della Provincia quella poltrona sarebbe già stata promessa nientepopodimenoche da Francesco Rutelli. L’uscita di Ferrante non aiuta, neanche quell’accenno buttato là che «si tratta di un auspicio tutto personale» e che, in ogni caso, «nella mia giunta le donne saranno il cinquanta per cento». Solo la diessina Marilena Adamo sorride: dopo essere stata «trombata» nel gioco della candidature blindate per la Camera, è infatti la numero uno del listone e le parole dell’ex prefetto sono come manna dal cielo. Sorriso che è il solo risultato visibile di quei venti-minuti-venti firmati da Ferrante e conditi dalla «certezza della vittoria», dalla «voglia di fare Milano più bella» e da altre perle di retorica spicciola. Che il capolista numero due, Andrea Fanzago (Margherita), riesce persino a superare: «Io la penso come Piero Fassino. E come il segretario dei Ds credo che dobbiamo vincere a Milano per non sentirci più soli, che dobbiamo vincere a Milano per non lasciarci più soli e che... be’, il terzo motivo non mi viene in mente».
Messa in scena davvero niente male. E mentre i candidati se la squagliano - Roberto Caputo in testa, che si presenta alle comunali con uno slogan originalissimo, “Milano è Milano» -, Filippo Penati sintetizza in una battuta quello che serve: «Una delle cose più apprezzate in politica è avere “cu..”. Mi fanno parlare perché, io, porto fortuna». Evviva la sincerità del presidente della Provincia di Milano, che aveva chiesto di non essere coinvolto nella partita milanese quando qualcuno aveva persino pensato a lui come capolista dell’Ulivo. «Peccato» sussurra ripensandoci un esponente della Margherita, mentre Marilena Adamo mette in chiaro che, lei, è «l’unica, ad aver diritto - ripeto, ad aver diritto - di emozionarsi sul serio per la lista dell’Ulivo». Battuta di non poco peso, che lascia senza parole il trio Dalla Chiesa-Majorino-Mirabelli e pure il coordinatore dell’Ulivo Stefano Facchi.

Loro conoscono tutti i retroscena del listone messo assieme da Ds e Margherita, «che non è la sommatoria dei partiti», e sanno bene che dietro quell’elenchino di sessanta nomi e cognomi, «uomini e donne del Quarto ma anche del Terzo e Secondo Stato», c’è ancora un problemino da risolvere: la squadra di Ferrante in caso di vittoria. Meglio rimandare la discussione.

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