Ultimo avviso dei clan: bomba a casa del Pm capo

Reggio CalabriaUn attacco violentissimo. Al procuratore generale Salvatore Di Landro, al tribunale di Reggio Calabria, all'intero sistema della giustizia. Un segnale forte per far sentire che la 'ndrangheta c'è ed è viva più che mai.
Un ordigno al tritolo è stato fatto esplodere davanti al portone della casa di Di Landro, l’altra notte poco dopo le 2, a Reggio. Una bomba ad alto potenziale che avrebbe potuto fare ancor più danni di quanti ne ha fatti. A Parco Caserta, la zona in cui abita il magistrato, la gente si è svegliata terrorizzata. L'esplosione ha devastato l'atrio del palazzo, mandando in frantumi i vetri delle abitazioni vicine e delle auto. Di Landro era in casa con la moglie al momento della deflagrazione che si è sentita in tutta la zona, un quartiere tranquillo fino a ieri.
L'attentato era sicuramente destinato al sessantacinquenne procuratore generale, un avvertimento, forse l’ultimo. Le modalità sono chiarissime, come la composizione dell'ordigno, collegato ad una miccia a lenta combustione e confezionato con tritolo, come si fa negli attentati di stampo mafioso. Chi ha piazzato l’esplosivo non ha incontrato grandi difficoltà per arrivare fino al portone che si trova su strada e che non è protetto da alcun cancello. Nessuno, per fortuna, si è fatto male, ma un evento così lascia comunque il segno. Perchè quello di ieri notte è stato solo l'ultimo di una lunga serie di intimidazioni che la 'ndrangheta ha orchestrato contro la magistratura reggina. Di fronte al portone della Procura generale nel gennaio scorso venne fatto esplodere un ordigno che scatenò rabbia e iniziative contro l'organizzazione malavitosa. Nei mesi successivi partirono le minacci e le lettere con i bossoli verso i magistrati reggini. L'obiettivo era creare questo clima di terrore, probabilmente lo stesso obiettivo che perseguiva chi ieri notte ha sistemato la bomba sotto casa del procuratore Di Landro.
Un magistrato che ha sin dal suo insediamento ha avviato una lotta forte contro la criminalità organizzata e che per questo ha attirato su di sé le attenzioni della 'ndrangheta. Quest’ultima bomba è un segnale preciso che arriva a pochi mesi dagli eventi che hanno segnato la storia della lotta alla criminalità reggina. Dall'attentato in procura del 3 gennaio, l'attenzione negativa nei confronti del procuratore è aumentata in modo costante, fino ad arrivare alla bomba della scorsa notte che rappresenta il culmine di quella che proprio Di Landro ha definito una «strategia» aggiungendo che «se la ’ndrangheta è tornata a colpire dopo vent’anni dall’uccisione del giudice Scopelliti si vede che qualcosa sta cambiando». «Contro di me-aggiunge-, a partire dall’attentato di gennaio contro la Procura generale c’è stata una tensione malevola e delittuosa crescente da parte della criminalità organizzata. È la riprova ulteriore che non siamo in un Paese normale, un Paese civile».
Una strategia del terrore che mira a spaventare prima di tutto il procuratore, ma anche i suoi più stretti collaboratori e le persone che gli stanno accanto. Una strategia che però sin qui non ha dato i frutti sperati, se è vero che dopo l'ennesimo attentato al procuratore è arrivata una pioggia di manifestazioni di supporto e solidarietà da parte di tutti: dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, a quello del Senato Renato Schifani, da Maroni a Alfano dai politici locali ai magistrati, fino ai semplici cittadini impegnati nel sociale che hanno voluto dare conforto al capo dei pm.
Dal novembre del 2009, quando il magistrato ha assunto la guida della procura generale di Reggio è partita una lotta serrata all'organizzazione malavitosa che da sempre mette in ginocchio la Calabria. Di Landro ha voluto rilanciare quella strada della legalità che è l'unica percorribile per fermare il fenomeno malavitoso. Forse è per questo che la 'ndrangheta ha scelto di colpire proprio lui, ritenuto «responsabile» di questo nuova guerra contro la malavita organizzata.
L’ordigno sotto casa è il messaggio più forte che potesse essere inviato al procuratore.

Che però, nonostante tutto, sembra ancor più deciso a proseguire la battaglia. Quella dello Stato. Da Roma, intanto, sono arrivati ad indagare gli specialisti dello sco e forse qualche traccia potrebbe spuntare dalle riprese di varie telecamere piazzate nella zona.

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