Ungaretti su Quasimodo: «Pappagallo, pagliaccio, fascista»

Le «carinerie» tra scrittori non sono una novità degli ultimi anni, la lite dell’anno scorso fra Antonio Scurati e Tiziano Scarpa, dopo l’assegnazione al secondo del premio Strega per un solo voto, era una semplice scaramuccia a colpi di «servo del potere» e «buffone2.0». Ad esempio a Giuseppe Ungaretti stava sul gozzo il rivale Salvatore Quasimodo che definiva poco amabilmente «un pappagallo e un pagliaccio». Questo il giudizio che si legge in una lettera pubblicata nel volume Giuseppe Ungaretti-Jean Lescure. Carteggio (1951-1966) edito da Olschki a cura di Rosario Gennaro. Il libro, in uscita, contiene le lettere scambiate tra il poeta e il suo principale traduttore francese, e uno dei temi ricorrenti (per anni) è proprio la candidatura al Nobel e l’insistente ricerca di sostegno tra i grandi nomi della letteratura internazionale per la conquista del premio di Stoccolma. E quando Quasimodo, nel 1959, fu incoronato dall’Accademia svedese, Giuseppe Ungaretti perse le staffe. Il giudizio al vetriolo compare in una lettera privata inedita che l’autore della raccolta Il porto sepolto inviò il 4 novembre 1959 all’amico Lescure. Ungaretti nella stessa missiva descrive Quasimodo come un opportunista.

In particolare, son messi in dubbio il suo antifascismo e la sua militanza di sinistra: «Ha collaborato per vent’anni alle riviste fasciste di più stretta osservanza, alle quali nessun poeta collaborava». E ancora: «Scriveva poesie sulla Resistenza perché era di moda». In quanto all’Accademia svedese: «Quattro poeti ridicoli che attribuiscono il premio». Altro che il Premio Strega, quelle sono bagattelle per dilettanti.

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