Chelesa si sposa. E New York impazzisce. Di rabbia, di gelosia, di disappunto. Non solo New York, anche Washington e perfino Little Rock, la capitale dell’Arkansas. Perché la sposa appartiene a una delle famiglie più influenti d’America. Si chiama Clinton. Chelsea Clinton, che il pubblico internazionale, ricorda come un frugoletto dai capelli ricci, lo sguardo timido e il fare impacciato che nel 1992, a solo dodici anni, prese alloggio alla Casa Bianca con papà Bill e mamma Hillary.
Chelsea oggi di anni ne ha trentuno ed è rimasta timida. Quando suo padre concluse il secondo mandato, nel gennaio del 2001, non fece più parlare di sè. Studiò a Stanford, trovò lavoro a Wall Street in un hedge fund e quando la madre tentò di conquistare la nomination democratica, lei limitò allo stretto indispensabile le sue apparizioni pubbliche. Spenti i riflettori della campagna, Chelsea fu felice di tornare nell’ombra.
Qualche mese fa, come tante sue coetanee, ha incrociato colui che spera essere l’uomo della sua vita, Marc Mezvinsky, banchiere ebreo di due anni più anziano di lei. Una storia come tante, nella New York bene.
Ma quando ti chiami Clinton, nulla è normale e il suo matrimonio rischia di suscitare non pochi imbarazzi ai suoi genitori, perchè a meno di una settimana dalla cerimonia nuziale, prevista sabato prossimo, solo pochi dei tanti che si considerano amici di famiglia hanno ricevuto l’ambitissimo cartoncino d’invito.
Esserci o non esserci, è, da sempre, il dilemma del jet-set, che sta rovinando l’estate a tanti potenti americani, alimentando chiacchiere e malumori. Hillary, qualche giorno fa, ha cercato di prevenire malumori rilasciando un’intervista alla Nbc, durante la quale ha esternato la sua trepidazione di madre della sposa, e si è detta certa che Bill «si emozionerà tantissimo», al punto che «se riuscirà a percorrere fino in fondo la navata senza scoppiare in lacrime sarà già un successo». Tutto bello, tutto commovente, ma il vero scopo dell’intervista era di avvertire la numerosissima corte di famiglia, che a stilare la lista degli invitati è stata Chelsea: «Vi amiamo tutti, ma questo è il suo matrimonio». Come dire: non prendetevela, per cortesia.
E, invece, molti se la sono presa, soprattutto i tanti che, con una certa ingenuità, si consideravano amici intimi dei Clinton, anche perché a solleticare il loro orgoglio ha pensato il New York Times, il quale di solito non si occupa di pettegolezzi d’alto bordo, ma che, evidentemente, ha ritenuto l’occasione troppo ghiotta e, per una volta, ha incaricato i suoi cronisti di essere un po’ più gossipari. E i giornalisti, naturalmente, si sono lanciati.
Da qualche giorno, goccia a goccia, pubblicano indiscrezioni che alimentano l’attesa, esaltando la magnificenza della cerimonia, che costerà ben due milioni di dollari, ovvero venti volte più di quella di Jenna Bush, figlia di George W, Bush, che, due anni fa, richiese appena 100mila dollari.
Chelsea e Marc diranno sì nel villaggio iper chic di Rhinebeck, a nord di New York, in una splendida residenza di inizio Novecento, la Astor Courts, affittata per 150-200 mila euro. Il catering è stato diviso in tre servizi: aperitivo, cena nuziale, snack notturno e sarà curato da tre ditte diverse con un costo di 1500 euro a invitato. Per gli addobbi floreali è previsto un budget da 250mila dollari e decine di migliaia di dollari sono stati investiti nell’illuminazione.
Perfidamente, il New York Times l’altro giorno ha dedicato un pezzo ai non-invitati, ponendo una domanda semplice, semplice: «Ma tu sarai uno dei 400 eletti?», incrociando sguardi irati e sdegnosi no comment. Non basta essere stati grandi finanziatori di Bill e Hillary per assistere al «matrimonio dell’anno». Qualcuno l’ha presa bene, come l’avvocato ebreo Victor Kovner: «Noi siamo amici, ma non facciamo parte del circolo più ristretto, non ci soprenderebbe se non fossimo invitati. Siamo felici per gli sposi». Ma la maggior parte non ha affatto gradito.
C’è chi non si rassegna e sgomita dietro le quinte per ottenere un invito in extremis e chi, invece, non riesce proprio a trattenersi, come John Catsimaditis, titolare di una catena di supermercati e da sempre grande sostenitore clintoniano. «Io chi ho sperato. Come l’ho presa? Non userei la parola male; direi piuttosto appena, appena dispiaciuto».
Un altro, sotto garanzia dell’anonimato, ha spifferato ai cronisti: «Evidentemente sono così vicino a Bill da potergli prestare l’aereo personale e permettergli di viaggiare per l’America in lungo e in largo, ma non
abbastanza da essere invitato».Eppure, a quanto pare, Bill e Hillary non faranno eccezioni. Lo hanno promesso a Chelsea e, per una volta, non sono previste. La famiglia prima di tutto. Talvolta anche prima del potere.
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