Va di moda la vecchia moda: l’abito vintage spazza la crisi

Va di moda la vecchia moda: l’abito vintage spazza la crisi

Vintage versus Moda. Come cambiano i costumi, nel senso più letterale del termine, dei milanesi, quando il mercato si contrae? Se il «vintage» nell'abbigliamento è «quanto di più bello è stato fatto nel passato, decade dopo decade, da stilisti di chiara fama, non certo da sartine di periferia», come dichiara Franco Jacassi, titolare di uno storico atelier in zona Castello, pare che di recente le preferenze dei milanesi si stiano orientando proprio in sua direzione. «Viene gente di tutti i tipi - afferma Antonio Armento, titolare di un negozio specializzato in corso Garibaldi, tra i più frequentati della zona - dalla gente normale al personaggio televisivo e cinematografico, di cui non faccio i nomi. Che so - continua dopo una pausa - Laura Pausini, Dalila di Lazzaro, Paola e Chiara, Malika Ayane, Arisa… E poi designers, stilisti che vengono qui a fare ricerca e prendere ispirazione dal passato per le nuove collezioni, blogger di tendenze, giornalisti, perché il vintage abbraccia tutta la storia della moda, dagli anni 20 agli 80». Da non confondere con l' «outlet», che propone capi sì del passato, ma mai usati e sempre limitati a una o due stagioni precedenti: anche qui prezzi ridotti, ma stile più commerciale, meno raffinato e di nicchia del vintage. Ma chi cede merce a questa tipologia di negozi? «Case di moda che portano l'invenduto dal magazzino, negozi che chiudono, la casalinga, la politica, la modella giovanissima che ha ricevuto capi in regalo post sfilata, ma poi magari cresce o ha bisogno di soldi, dunque se ne disfa, perché non li usa più» prosegue Antonio. Il cambiamento dell'ultima ora? «I clienti che portano capi sono quadruplicati rispetto a quelli che acquistano- continua Antonio - Noi comunque, pur galleggiando, sopravviviamo, mentre tra i negozi tradizionali, qui in zona, c'è un incessante turn over». «Milano è una città troppo cara - sentenzia Franco Jacassi - Tra affitti, tasse e burocrazia, costa meno aprire uno show room, com'è il nostro, a Parigi o a New York. Se per l'affitto in una zona centrale, infatti, ti chiedono 150mila euro all'anno, cioè circa 12mila al mese, per guadagnare devi fatturarne almeno 40mila. Cosa che di solito non accade». Questo sebbene Jacassi, nel suo atelier di via Sacchi, 400 metri quçÇadrati su tre piani, dichiari un «buonissimo 2011 e un ottimo inizio d'anno». «Ma solo perché ho un pubblico internazionale. Partecipo, infatti, ad aste in tutto il mondo e recupero capi, oltre che con le stesse modalità di tutti gli altri, anche da famiglie importanti. Poi, interviene il passaparola: se viene Ginevra Elkann, ci porta un'amica. Arriva la Coco Brandolini? Mi segnala agli amici a New York… Perché vede quel Valentino? - prosegue indicando un abito lungo rosso fuoco - La proprietaria l'avrà messo due volte: in negozio costa 15mila euro, da noi lo acquista a 800. A comprare da me arrivano dagli Usa, dal Brasile, dall'Europa del nord» conclude Jacassi, reduce solo la settimana scorsa da un servizio sul Financial Times e su una Tv di Miami. Chi invece si limita a un pubblico cittadino, soffre di più. «Più gente che vende, rispetto a quanta ne acquisti: la situazione peggiore da quando abbiamo aperto, quattro anni fa - dice Claudia, titolare di "Cameo", un negozietto in via S. Carpoforo, cuore di Brera - Non sappiamo più dove metter la roba, quasi sempre in conto vendita. Sono sempre più numerose le signore in crisi, magari anziane, che vendono un appartamento in zona, ormai divenuto troppo caro, per trasferirsi in periferia. Svuotano così i solai e preferiscono dare roba a noi, piuttosto che in chiesa o nel cassonetto, perché almeno ci guadagnano. Non sono comunque loro le più benestanti, che di soldi non hanno bisogno, e che, abbiamo scoperto, regalano piuttosto ai domestici. Che però gli abiti non li apprezzano mica…» conclude con una nota di disappunto. Tra i loro acquirenti: turisti, allievi delle scuole di moda o comunque chiunque voglia vestirsi in modo più originale, spendendo meno. In tempo di crisi, meglio allora un buon vintage.

Per il quale, però, altro rischio in agguato: «Se il mercato continua a contrarsi, le aziende di moda produrranno sempre meno, così sempre meno sarà il riciclo e la merce per noi disponibile» conclude Antonio. Hai voglia, allora, a disfarsi di un esubero che non c'è più.

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