«Valigia smarrita? Il risarcimento è una presa in giro»

Caro Direttore,
come Lei potrà notare dall'orario, sono insonne a causa anche di una notizia che mi è stata confermata ieri dal mio avvocato. I fatti: a dicembre dello scorso anno avevo organizzato un viaggio di piacere in quel di Pavia. Cercato nella giungla delle varie offerte «low cost» ho comprato online il mio bel ticket di andata su Malpensa. Atterrato a Malpensa, con il solito ritardo di almeno un’ora, sono andato a ritirare il mio bagaglio, che però è risultato smarrito. Allora sono andato al desk per presentare la mia denuncia e, l'operatrice, sfoggiando une gentilezza inusuale, mi ha rassicurato che al massimo in 24 ore avrei ricevuto il mio bagaglio direttamente in hotel. Non è stato così. Per farla breve, il mio bagaglio mi è stato riconsegnato direttamente a casa al mio rientro, dopo una settimana. Dunque sono stato una settimana facendo la figura del barbone. Ho protestato, ma la compagnia mi ha risposto che il massimo che mi avrebbe rimborsato era la somma di 52 euro. La cosa sconcertante è che,il mio avvocato, facendo ricerche sulla giurisprudenza in materia, ha scoperto che,quasi tutti i giudici applicano una convenzione vecchia di oltre 80 anni e rispettano quindi quei parametri imposti dalle compagnie di volo. Adesso mi domando: ma come fa un giudice, chiunque esso sia, a valutare quanto la mia vacanza sia stata rovinata? Come fa a valutare la figura da barbone che ho fatto nei confronti delle persone che dovevo incontrare? Come fa a valutare il prezzo che ho pagato a stare sette giorni con indosso gli stessi abiti? Mi piacerebbe davvero sapere se fosse stata smarrita la valigia di un giudice, che rimborso avrebbe deciso il suo collega... Credo sia ora di finirla e, spero che, se questa mia verrà pubblicata, almeno serva a smuovere le coscienze: visto che noi viaggiatori ci troviamo costretti a pagare sempre e comunque quella tassa iniqua chiamata «fuel surcharge», che almeno ci tutelino un po’ di più quando siamo vittime dei loro errori.

Confermo l’insonnia: la lettera è stata spedita alle 4.19 del mattino. E qui già mi viene il primo dubbio. Capisco la sua amarezza, signor Campo, ma mi preoccupo un po’: se lei perde il sonno tutte le volte che le capita una disavventura del genere, la sua salute corre seri pericoli... Secondo dubbio: capisco il disagio di chi rimane senza abiti, ma era proprio il caso di andare in giro una settimana con gli stessi vestiti addosso facendo, come dice lei, la figura del barbone? La dignità non viene prima anche del (pur sacrosanto) borsellino? Terzo dubbio: se lei si fosse comprato qualche vestito forse sarebbe stato più facile anche per il suo avvocato quantificare il danno. Del resto, per quanto riguarda le obiezioni che solleva sul giudice, la domanda mi pare mal posta: se lei si rivolge al tribunale, poi non può mettere in dubbio la possibilità del tribunale medesimo di calcolare a quanto ammonta il risarcimento del danno. Se non lo calcola il giudice, in effetti, chi lo può fare? Trovo giusto invece denunciare, come fa lei, l’esistenza di una giurisprudenza che favorisce le compagnie aeree e punisce i normali viaggiatori. Questo è il punto.

E questo è il motivo per cui, nonostante tutti i miei dubbi, ho deciso di pubblicare la sua lettera: se c’è una cosa, infatti, che proprio non mi va giù è che quando sbagliano le burocrazie pubbliche o le grandi aziende private (come le compagnie aeree), il risarcimento è una presa in giro. Se sbaglia un comune cittadino, invece, il risarcimento è caro e salato. E bisogna pagare fino all’ultima lira.

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