
Magari non lo dirà mai nessuno ma quando il cardinal Prevost, cioè Papa Leone XIV, si è affacciato dal loggione di San Pietro, tutto il Palazzo della politica italiana è rimasto con un palmo di naso. Non per avversità o per antipatia verso il nuovo Pontefice. Ma perché non se lo aspettavano, non lo conoscevano, ma soprattutto perché erano sicuri che dal finestrone avrebbe fatto capolino il viso bonario del segretario di Stato, cardinal Parolin. Basta parlare con gli ex-dc che albergano ancora nel Palazzo per averne conferma. «Nessuno pensava a quel nome - dice sicuro Lorenzo Cesa, il detentore allo scudocrociato - non è che il cardinale Prevost potevi incontrarlo in ascensore».
«Non è più come una volta quando le carte le davano i cardinali italiani - confida Gianfranco Rotondi - chi dice di avere rapporti Oltretevere millanta. Più che previsioni sono aspirazioni». Uno dei pochi che aveva fatto il nome di Prevost qualche giorno fa ad 8 e mezzo era stato Matteo Renzi, subito zittito da un vaticanista di chiara fama con la motivazione che la carnevalata di Trump vestito da Papa aveva tagliato le gambe alle ambizioni a tutti i cardinali stelle e strisce. E invece«La verità - spiega oggi l'ex-premier - è che tutti i palazzi istituzionali si aspettavano Parolin, gli avevano già recapitato gli auguri perché tutti sono a digiuno dei meccanismi della Chiesa universale».
Appunto, il Tevere si è fatto più largo. Non perché ci siano cattivi rapporti tra i Palazzi di Roma e gli abitanti del Cupolone, ma perché dopo Wojtyla, Ratzinger, Bergoglio, cioè dopo che è trascorso mezzo secolo dall'ultimo Pontefice
italiano, le antenne della politica non ricevono più segnali dal Vaticano o, peggio, non riescono ad interpretarli. Debbono affidarsi il più delle volte ai giornali, non hanno notizie di prima mano. «Prevost poteva essere un outsider per il suo profilo» si limita a dire Graziano Delrio. E poi c'è il vizio di percepire le cose della Chiesa secondo il metro delle vicende italiane. «Solo che guardare il Conclave con gli occhi della politica - osserva un altro ex-dc di lungo corso come Pierferdinando Casini - significa non capire niente».
Anzi, si rischia di combinare guai. Come in parte è avvenuto. «Sono tutti sotto shock», ammette un gran conoscitore di quei mondi da un osservatorio di sinistra come Stefano Ceccanti. Eh sì perché le aspirazioni della politica italiana e dei movimenti collaterali alla fine convergevano tutti sul nome di Parolin. Nell'area di governo si era accarezzata l'idea del cardinale Betori, il braccio destro di Ruini, ma visto che era un nome senza numeri c'era chi a palazzo Chigi era pronto a brindare per Parolin. A sinistra, dalle parti del Pd, c'era una palese passione, un tifo, per il presidente della Cei, Zuppi, che aveva una sua base di elettori nel Conclave. Addirittura c'è chi racconta - un personaggio in rapporti con la Curia e per nulla ostile a Sant'Egidio - che la Comunità si sia mossa per far convergere i voti di Zuppi su Parolin addirittura sperando nel futuro appoggio del Papa italiano per l'elezione del fondatore del movimento, Riccardi, al Quirinale. Roba da fantapolitica ma anche giochi su giochi. Il punto è che tutti questi movimenti hanno infastidito le periferie della Chiesa che in questo mezzo secolo di digiuno italiano hanno conquistato la stragrande
maggioranza del Conclave. «Sono arrivati a Roma - confida Ceccanti - con gli italiani che avevano già apparecchiato la tavola». E si sono ribellati come racconta un sito spagnolo ben introdotto, Religion Digital. Per cui alla fine Parolin non è riuscito strappare più di 40-50 voti, un numero ben lontano dagli 89 necessari. Così il Papa italiano è sfumato: via Betori, via Zuppi, via Parolin. È venuto fuori una figura pastorale come Prevost, un crogiolo di nazionalità (origini italiane, madre spagnola, cittadinanza americana e passaporto peruviano), grande organizzatore ed espressione di quella Chiesa statunitense che potrebbe aiutare a rimettere in sesto le finanze Vaticane. Agli italiani sono rimasti i ruoli che avevano in Curia, a cominciare dalla segreteria di Stato per Parolin. Ma avranno un Pontefice lontano ancor più del passato dall'Italia e dai suoi Palazzi.
Un agostiniano e non un francescano, un Leone che parla di «Pace disarmata e di Pace disarmante». Mezzo Bergoglio e mezzo Wojtyla. Per usare le parole dell'arcivescovo di Belgrado: «Finora c'era un Francesco che parlava coi lupi. Adesso abbiamo un Leone che caccerà i lupi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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