Il turista straniero ancora non lo sa, ma da oggi la sua vacanza in Italia rischia di trasformarsi nel solito incubo: è al via infatti la vergognosa pantomima degli scioperi estivi dei trasporti.
All’estero, specialmente nei Paesi nostri concorrenti per la ricca industria del turismo, non sembrerà vero di poter riempire paginate sul calvario a cui saranno condannati i coraggiosi che oseranno sfidare spazzatura, mafia, cavallette, per poi finire tristemente lungo un binario ad aspettare un treno che non arriverà mai o ad una fermata senza capire perché di autobus per tornare in hotel non vi sia nemmeno l’ombra.
Il «caso scioperi» è emblematico delle potenzialità sprecate del nostro Paese, un immenso tesoro di bellezze artistiche naturali, un’imprenditoria dalla creatività senza pari ma una fantasia incomparabile nel farsi del male.
I motivi dello sciopero sono semplici e sono sempre gli stessi: il contratto nazionale del trasporto pubblico è scaduto alla fine del 2007 e quindi si incrociano le braccia. Si tratta di una vecchia commedia che deve essere presa come esempio delle cose che in Italia devono cambiare: forse che a settembre non si sapeva che il contratto era in scadenza? Logica vorrebbe che con un certo anticipo ci si debba mettere attorno ad un tavolo in modo da rinnovare per tempo gli accordi (meglio se decentrati e non nazionali, ma il metodo sarebbe lo stesso). Invece no, un tacito gioco delle parti fa sì che da sempre si debba mettere in scena il teatrino del contratto che scade, seguito dalla «dura agitazione sindacale» con conseguente «convocazione di un tavolo» che si conclude con una «estenuante trattativa» e finalmente il ricco rinnovo che mette tutti d’accordo. Peccato che nel frattempo tutto il Paese ci abbia rimesso, impossibile sapere quanto perché il danno di immagine, la cattiva pubblicità per il nostro turismo e i disagi per i cittadini e le imprese sfuggono le statistiche ma tutti si possono rendere conto di quanto rilevanti siano.
La cosa più aberrante è che si tratta di una contrattazione farlocca, dove il lavoratore ha tutto l’interesse nel fare più danni e rumore possibile perché sa che la sua controparte statale è finora stata un grande Pantalone, a cui poco interessa dell’economicità e della qualità dei servizi che eroga, non temendo né concorrenza né fallimento. Molta confusione, molto aumento: secondo l’Istat le retribuzioni del pubblico impiego sono salite dal 2000 il doppio dell’inflazione e circa il 70 per cento in più della crescita del settore privato. Ovviamente poco importa al lavoratore del disagio degli utenti e delle ricadute negative per la collettività: in un Paese senza una missione è ovvio che il particolare prevalga sul generale e finché le cose stanno così si fa fatica a dare torto agli scioperanti che hanno sempre saputo far bene i loro interessi.
È ora però di cambiare e la proposta è molto semplice: perché, oltre all’abbandono della contrattazione nazionale in favore della locale, non provare un sistema di rinnovi automatici, con incrementi legati a parametri oggettivi? Potrebbero essere considerati dati come incremento del Pil, il tasso di disoccupazione, il livello di soddisfazione degli utenti, l’indice di puntualità.
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