Vender: «Schivo e votato al lavoro era un piccolo Cuccia cattolico»

«Fu ai vertici quando non si facevano grandi fortune»

«Un gran lavoratore, perbene, schivo, una sorta di piccolo Cuccia cattolico». Così Jody Vender, finanziere di grido negli anni Ottanta, ricorda Gianmario Roveraro quando si muoveva negli alti ranghi della finanza milanese. «Parlava sempre a voce bassissima, come fanno i preti in confessionale. A volte era quasi impossibile capire cosa sussurrava». Di Roveraro, Vender ricorda la sua uscita di scena, «un epilogo infelice» dopo la sua esperienza in Akros, la società da lui fondata e dalla quale uscì dopo aver sfiorato il fallimento: «Fino ad allora, seppure nel suo stile defilato e mai eccentrico, era stato uno dei protagonisti della finanza italiana. Quello di Akros deve essere stato certamente un duro colpo per lui, che sperava nella fusione con Sopaf, la finanziaria da me controllata. Io ero favorevole, ma gli azionisti di Akros bocciarono quella mossa e per lui credo sia stata una batosta». «Sono rimasto a bocca aperta quando ho saputo la notizia», spiega Vender, che sembra non credere molto alla vicenda del rapimento: «Non si può dire che fosse un uomo ricco o che si fosse arricchito come dirigente.

Quelli erano anni in cui anche se occupavi posti di vertice, non venivi pagato con cifre spropositate come si fa adesso». Tra l'altro, aggiunge il finanziere, «la sua attività di beneficenza, il suo impegno nel sociale erano arcinoti anche nell'ambiente. Molti dei soldi che ha guadagnato li ha spesi in opere di bene».

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