Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica
Ecco la verità, l’altra verità, sulla P3. A raccontarla a verbale sono i big del Pdl trascinati nell’inchiesta sulla «cricca dell’eolico» dalle intercettazioni a strascico della procura di Roma. Nell’interrogatorio del 26 luglio 2010, Denis Verdini comincia col dire che di «rapporti» organici con la cricca non si può proprio parlare. «Fino all’aprile del 2009 non conoscevo nessuno, né Flavio Carboni né le altre persone che voi mi dite essere coinvolte». E restando a Carboni, con riferimento ai finanziamenti al «suo» Giornale nuovo della Toscana («(...) in questa storia non ci ho guadagnato nulla, anzi ci ho rimesso parecchi milioni di euro»), il coordinatore spiega che l’intervento dell’imprenditore sardo fu casuale. Un socio della Toscana edizioni, Barbetti di Gubbio, che avrebbe dovuto rifinanziare l’attività, indicò un altro imprenditore, tale Gino Mariotti. Che, a sua volta, presentò a Verdini Flavio Carboni.
LA VERITÀ DI DENIS
«Sapevo, naturalmente, chi era. Ma sottolineo che questi intratteneva numerosi rapporti di buon livello e di diverso orientamento politico: per esempio tra gli altri era buon amico del principe Caracciolo», uno dei padri nobili di Repubblica. Carboni, osserva Verdini, gli propose di aprire un quotidiano in Sardegna sul modello del Giornale della Toscana, ma Verdini non ne era convinto: «I costi dell’operazione avrebbero superato i possibili ricavi». Ma un incontro romano con lo stesso Carboni e il senatore Marcello Dell’Utri, nel corso del quale quest’ultimo espresse parere favorevole all’avventura editoriale, spinse Verdini a mettere Carboni in contatto con gli amministratori del proprio quotidiano. Quanto ai famosi «assegni» versati per quel finanziamento, Verdini non fa mistero della reale provenienza: «Dietro le figure di Pau e Tomassetti vi era Carboni». Dopo aver risposto a domande su quel giro di soldi che per Verdini riguarda esclusivamente la sua attività di editore, i pm passano all’eolico. Il coordinatore del Pdl conferma che Carboni gli chiese di aiutarlo a sostenere con Cappellacci la nomina di Ignazio Farris («che non ho mai conosciuto») all’Arpas, l’ente per l’Ambiente. Una nomina che Carboni gli disse «essergli stata già promessa». «Sapevo - aggiunge Verdini - che in occasione della campagna elettorale Carboni aveva appoggiato Cappellacci, e mi risulta che Carboni, grazie alla sua amicizia personale con il principe Caracciolo, aveva ottenuto dal gruppo Repubblica-L’Espresso un atteggiamento benevolo nei confronti di Cappellacci».
«EOLICO? NESSUN AFFARE»
Ma dal business dell’energia rinnovabile Verdini si chiama fuori: «Io non ho mai condiviso con Carboni alcun interesse societario su progetti nel settore dell’eolico né in alcun altro settore, eccezion fatta di quanto già riferito in merito alla Società Toscana di edizioni». Quanto al capitolo sui «pranzi» a casa sua, in cui secondo i pm si sarebbe deciso come influenzare la decisione della Consulta sul Lodo Alfano, Verdini ricorda: «Avrò fatto 500 pranzi per discutere di politica (...). A tavola si fece solo un accenno generico al Lodo Alfano», per come se ne parlava sui giornali. «Il giudice Martone disse che le illazioni che circolavano circa i possibili orientamenti di voto dei giudici costituzionali erano solo chiacchiere giornalistiche». Niente più. Quanto a Lombardi, «rimasi molto infastidito dai suoi modi e lo allontanai bruscamente quando si presentò a via dell’Umiltà». Sul cosiddetto «dossier Caldoro» il coordinatore del Pdl ricorda di aver ricevuto notizie diffamatorie a gennaio scorso: «Alberghi, date, nomi di uomini asseritamente frequentati da Caldoro». Verdini ne parlò con Cosentino, il quale «mi disse che erano fatti vecchi e inconsistenti». Ma il dossier, più corposo, fu riproposto durante un incontro con Silvio Berlusconi proprio da Ernesto Sica, futuro assessore proprio con Caldoro. «D’accordo con Berlusconi, interpellai Caldoro ma lui mi giurò essere tutto falso, e quindi la cosa finì lì (...) un foglio (del dossier, ndr) credo di averlo consegnato allo stesso Caldoro».
CALDORO E IL DOSSIER TRANS
E proprio Stefano Caldoro, nel frattempo eletto governatore della Campania, il 4 agosto conferma ai pm la versione di Verdini. «Delle voci diffamatorie - racconta - appresi per la prima volta da Verdini (...). A mia domanda, in tono scherzoso, se si trattasse di veline, mi disse sempre scherzosamente che si trattava di una storia simile a quella di Marrazzo: gli dissi di lasciar perdere, che non c’era niente di vero». La notizia finì su un blog, Caldoro presentò una denuncia. E il ruolo di Sica? «Né lui né Cosentino mi parlarono mai di notizie diffamatorie sul mio conto».
I RISCONTRI DI COSENTINO
Dopo aver spiegato di essere rimasto sorpreso del «cattivo risultato» elettorale a Pontecagnano, «patria» di Sica, Caldoro spiega ai pm che a segnalargli Sica per un posto in giunta fu, da Roma, proprio Cosentino. Dopo l’indagine sulla «P3» salta fuori il presunto ruolo di Sica come regista della diffamazione. «Sica tentò di giustificarsi, mi disse che era una vicenda più grande di lui, e che era l’unico a pagare». Con le dimissioni dalla giunta. Ascoltato come indagato, l’ex sottosegretario Nicola Cosentino il 17 luglio conferma la ricostruzione di Denis Verdini, («Me ne parlò e risposi che erano sciocchezze») e nega qualsiasi suo coinvolgimento nel complotto diffamatorio contro Caldoro, limitandosi a spiegare che quando ne fu avanzata la candidatura «si levarono voci critiche in quanto poco conosciuto, aveva pochi voti e giravano sul suo conto voci di strane inclinazioni (...) tra queste voci critiche vi era quella di Arcangelo Martino». Quest’ultimo, dice a verbale Cosentino, «faceva riferimento ai gusti sessuali (di Caldoro, ndr) e alle parole di un pentito». E l’ex sottosegretario all’Economia aggiunge infine di «non aver mai ricevuto relazioni scritte sul conto di Caldoro da parte di Sica, di Martino o di altre persone».
LE SMENTITE DI FORMIGONI
In procura a Roma è passato, il 2 agosto, anche il presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni. A lui i pm hanno chiesto conto dei suoi rapporti con Arcangelo Martino. Il governatore ha detto che «era una delle tante persone con cui venivo in contatto perché si presentava come un militante (...) i miei rapporti con lui si intensificarono nel marzo 2009 perché mi invitò a un convegno svoltosi a Milano sul federalismo fiscale». E proprio lì, «nella serata conclusiva conobbi Pasquale Lombardi», prosegue Formigoni, «che successivamente mi invitò a settembre a un convegno in Sardegna». Fu lì che il governatore intravide a cena Carboni: «Rimasi stupito», spiega ai pm. Quanto all’attività della presunta associazione per far riammettere la lista del presidente alle ultime regionali, Formigoni ricorda le «consultazioni frenetiche sia politiche che legali», ma ovviamente lecite, per «un atto di giustizia».
LISTA? PRESSIONI INESISTENTI
E «tra le molte persone con cui presi contatti in quei momenti vi fu anche Arcangelo Martino», a cui chiese «consigli e suggerimenti in virtù delle conoscenze che costui dimostrava di avere», ma aggiungendo che quei suggerimenti Martino non glieli diede. Altra contestazione dei pm riguarda le pressioni per mandare un’ispezione del ministero della Giustizia a Milano. Formigoni conferma di averne parlato anche con Alfano il 20 marzo, ma nega di aver chiesto aiuto alla cricca: «Non ero a conoscenza di rapporti particolari di Martino o Lombardi al ministero, del resto io non avevo difficoltà a parlare direttamente col ministro». E quando proprio Alfano richiama Formigoni per dirgli che non vi erano gli estremi per un’ispezione, il governatore ci resta male: «La cosa mi lasciò esterrefatto».
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