Cinzia Romani
da Roma
Se da trentanni tiene botta, col mondo che si fa trucido, ci sarà un perché. È lui, il perché, con la faccia da maschera romana e gli occhi di chi ha appena letto i dati Cinetel: uno sfracello, la gente, in sala, non ci va. Ma quanto dura, a Carlo Verdone, quella tristezza che sta ai comici come la collera ai calmi? Poco: cè da festeggiare luscita, in dvd, di Bianco, rosso e Verdone, il suo secondo lungometraggio del 1981, che Medusa ieri ha presentato alla Casa del Cinema, dove sè fatto buon sangue ridendo soprattutto nei quaranta minuti dello speciale sul film, creato ad hoc. «I miei fan hanno chiesto di riproporre questa galleria di personaggi. Lho accompagnata con un discorso sincero, qua e là venato di malinconia: quel film appartiene a unaltra epoca», spiega lattore e regista, che ha scritto e interpretato storie semplici, facendo arricchire i produttori. Mario Cecchi Gori, per esempio, che lo mise sotto contratto quando, nei primi anni Ottanta, altri comici incalzavano, Massimo Troisi in testa. «Bisogna rispettare un passato importante, ricco di cose, facce, persone», dice lautore. Così, tra unimitazione di Lella Fabrizi, ripresa dietro alla cassa del suo ristorante e il ricordo dellaura intorno a Sergio Leone, parte il flash sul modo dessere compagni di lotta e di governo della sala, oltre ventanni fa. «Con Troisi, ci trovammo sullo stesso aereo per Catania. Lui promuoveva Ricomincio da tre, io Bianco, rosso e Verdone. Tra me e lui non cera rivalità, ci dicemmo in bocca al lupo a vicenda. Sabato e domenica, presi du sberle, lui andò benissimo. Lunedì, a Roma, mi precipitai a vedere il suo film: posti in piedi. Attaccato a una colonna, capii che Troisi aveva tempi comici meravigliosi. Gli telefonai, per fargli i complimenti: quasi si scusava, era imbarazzato».
E oggi cè spirito di gruppo, senso di appartenenza, tra chi fa cinema? «Ora cè soltanto mors tua, vita mea. I produttori si svenano, per lanciare i film, ma mancano registi e soggettisti. Dal punto di vista del Cinetel, poi, non stiamo messi bene: ormai la gente va al cinema, dopo essersi fatta quattro telefonate di passaparola. Bisognerebbe essere più umili. Altro che Paolo Sorrentino, che rifiuta la passerella di Roma, manco fosse la Festa dellUnità. A Cannes, però, cè andato! Finiamola col provincialismo! E meno male che, girando Manuale damore di Sandro Veronesi, ho ritrovato lo spirito di gruppo, conoscendo meglio la Bobulova, ritrovandomi a cena con Rubini e Albanese: insieme si scambiano le idee. Ma è stato un miracolo, una cosa rara». Non si vede un po di luce, in fondo al tunnel? «Nei film attuali circola un senso di violenza, di morte... Minchino a Babel, o alla prima ora del film di Tornatore, che fa grande cinema. In generale, il comune denominatore sembra un mondo depresso. Sento la necessità di far qualcosa di divertente». Un lampo negli occhi da romanello furbo, col piano b in tasca, e si capisce che Carletto, classe 1950, un matrimonio alle spalle, lipocondria in agguato e il talento che arde come brace inestinta, cova un progetto. «Le penne non sono più quelle duna volta. Fare Lubitsch, o Capra? Impossibile. Ma vediamo cosa riesco a scrivere: il produttore, Aurelio De Laurentiis, non mi fa pressioni. Ho voglia di unultima commedia da regalare al pubblico. Una galleria di personaggi storici, in duetto con mia moglie o mio figlio, per ragioni di età, ma senza abbandonare le caratterizzazioni». E se il tessuto dei quartieri, a Roma, è sbrindellato, «perché non sai chi tha bruciato er motorino», Verdone attingerà al serbatoio degli immigrati. «Dalle parti mie, a Monteverde, ho conosciuto due egiziani, che mi fanno ridere: voglio catturare il loro dna islamico. Sono curioso e passerei dalla realtà italiana a quella multietnica. Nel futuro, è certo, i caratteristi saranno albanesi o cingalesi». Come trova, Verdone, i comici alla Crozza? «Uno che fa Ratzinger, non fa ridere.
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