Verità sul tesoro degli Agnelli

In base ai documenti riservati per la spartizione dell'eredità, il patrimonio di Gianni era di 1,6 miliardi. Margherita tentò di entrare nella cassaforte del gruppo per arrivare alla Fiat, ma Umberto bloccò l'operazione

Verità sul tesoro degli Agnelli

Torino - Ma quanto era ricco l’Avvocato Agnelli? Per anni si è favoleggiato di un’immensa fortuna. Ma solo al momento dell’apertura del suo testamento si è fatta chiarezza. Si può subito dire che secondo le carte ufficiali, ma segrete, della divisione ereditaria l’Avvocato «valeva» poco più di 1,6 miliardi di euro. Poco? Tanto? Dipende ovviamente dai punti di vista. Il Giornale è entrato in possesso di molti dei documenti riservati che hanno portato alla divisione tra i suoi unici due eredi: la figlia Margherita e la moglie Marella. Alcuni sono conservati alla Commission de taxation di Ginevra per una causa che Margherita ha intentato al suo legale dell’epoca, Jean Patry. Ulteriore documentazione è invece depositata alla Procura di Milano dove è presente una denuncia di estorsione proprio nei confronti di Margherita.

Le questioni fondamentali che si aprono alla morte dell’Avvocato sono due. Come sistemare la catena di controllo della Fiat e come dividere gli attivi, per la gran parte esteri. Quel che è certo, è che per la figlia Margherita oggi la divisione fatta sottostima l’entità reale del patrimonio del padre.

L’assetto della Fiat
La casa automobilistica è controllata al 30 per cento da alcune finanziarie (Ifi-Ifil) che a sua volta sono controllate da una società in accomandita (la Giovanni Agnelli sapa). L’Avvocato aveva le chiavi dell’accomandita, la quota rilevante del 30 per cento, attraverso una scatoletta giuridica che si chiama Dicembre. Facciamola semplice: chi possiede il controllo di Dicembre controlla la Fiat. Il valore della Dicembre al momento della morte dell’Avvocato è ovviamente condizionato dalla pessima situazione della Fiat: Dicembre valeva più o meno 300 milioni. Quando muore l’Avvocato ci sono quattro soci paritetici: Gianni Agnelli, sua moglie Marella, sua figlia Margherita e il nipote John. Nel 1996, poco prima di una delicata operazione al cuore, l’Avvocato in una contestatissima lettera aveva scritto che in caso di morte i suoi poteri in Dicembre sarebbero passati al nipote e a nessun altro. Non solo. Aveva anche stabilito che la sua quota del 25 per cento sarebbe stata divisa tra gli altri tre soci. Fu una delle prime contestazioni che gli avvocati di Margherita (Gamna e Patry) tirarono fuori. Non si può spalmare il 25 per cento della società su tre fette, ma per il diritto successorio italiano va diviso solo per due: la moglie e la figlia. Secondo quanto risulta dalle carte di cui è in possesso il Giornale, Margherita ottenne la sua prima vittoria. La quota del padre fu divisa secondo la legge italiana e lei salì al 37,5 per cento della Dicembre. Comunque ininfluente per comandare. Era già stabilito il ruolo di John, suo figlio, come leader assoluto. E comunque sua madre Marella avrebbe ceduto gran parte della sua quota proprio a John, assecondando le volontà dell’Avvocato, facendolo così arrivare a una maggioranza schiacciante. È a questo punto che gli avvocati di Margherita tentano il colpaccio: a che serve una quota di minoranza in Dicembre, pensano. Tanto vale cederla per ottenere in cambio una fetta dell’Accomandita, dove siedono tutti i membri del clan Agnelli.

La trattativa continuò fino all’estate del 2003. Susanna Agnelli (la sorella dell’Avvocato più ascoltata) aveva già fatto delle verifiche positive con le sorelle, ma il netto rifiuto arrivò da Umberto Agnelli, allora presidente dell’Accomandita. Il padre di Andrea, che proprio tra pochi giorni entrerà nell’accomandita, in una telefonata (voluta da Suni) informò Gamna di considerare improcedibile l’ingresso di sua nipote Margherita nella Giovanni Agnelli sapa. In un pranzo di Santo Stefano (a cui partecipò anche l’allora banchiere di Lehman Ruggero Magnoni, oltre a Lupo Rattazzi) Margherita e suo marito manifestarono (secondo quanto è in grado di ricostruire il Giornale) il loro esplicito pensiero sulla pessima condizione in cui versava il gruppo e l’intenzione di lasciarlo al proprio destino. Ciò però non toglie che un tentativo di mantenere un piede in Fiat (via accomandita) fosse stato, con scarso successo per l’ostilità di una parte della famiglia, tentato.

Margherita vende dunque la sua quota alla madre Marella. La transazione da conti Morgan Stanley, avviene tra due residenti all’estero (entrambe le donne non vivono in Italia) e dunque frutta 105 milioni netti. È il primo pezzo dell’eredità dell’Avvocato. Non enorme in termini relativi. Ma determinante nei rapporti della famiglia. Margherita capisce che il clan non la vuole in Fiat (ma che ben può rimanere come minoranza in Dicembre, e ci mancherebbe altro) o se si preferisce realizza come la volontà del padre di mantenere in una sola persona il comando del gruppo (il nipote John) è cosa per cui tutti lavorano.

Il patrimonio dell’Avvocato
La determinazione del patrimonio dell’Avvocato si rivelerà tecnicamente ben più difficile della sistemazione della catena di controllo Fiat. Per un motivo molto semplice: la gran parte era all’estero, off shore. Margherita Agnelli riceve subito un’informativa da parte di un consulente del padre, Siegfried Maron, su una serie di attivi esteri del valore di circa 600 milioni di euro. Sei volte il valore della strategica quota di Dicembre. È evidente che le cose si complicano. L’Avvocato stabilisce di avere due soli eredi e inoltre che a comandare in Fiat sia John, ma come individuare tutti gli attivi del Senatore? L’estratto conto di Maron rappresenta il tutto? E ciò che non si vede, sempre che esista, a chi finirà? Gli avvocati e i consulenti di Margherita (il più attivo è il signor Fontugne di Jp Morgan) faranno delle presunzioni. In particolare prenderanno in considerazione alcune grandi operazioni estere realizzate nel passato (l’opa su Exor, l’Ifint in Asia) che avrebbero potuto generare provvista per l’Avvocato. Secondo quanto risulta dalle carte di cui è in possesso il Giornale, i consulenti di Margherita avevano valutato il patrimonio «nell’intorno di 2-3 miliardi di dollari». Tenendo in considerazione che l’Avvocato avesse perso con il primo sboom della New Economy del 2001 e che avesse donato in vita a terzi parte del suo patrimonio, la stima di 1,6 miliardi di euro a cui si arrivò con i documenti disponibili era da considerare più che attendibile. La cifra è bene tenerla a mente. Alla fine di tutta la nostra vicenda, a Margherita verranno attribuiti attivi per circa 1,2 miliardi di euro, assai più della sua quota di legittima eredità. Ma tenendo conto che una parte del patrimonio poteva essere sfuggita (anche per donazioni fatte in vita dall’Avvocato) al momento della successione tutti consideravano l’operazione equa. Fu così firmato a metà febbraio del 2004, a circa un anno dalla scomparsa dell’Avvocato, «un accordo divisorio che aveva altresì valenza di accordo per la successione della madre Marella».Questo è un punto delicato, che conviene esplicitare.

La quota ereditaria
Margherita ottiene più del 50 per cento della legittima quota ereditaria (sempre che i calcoli fatti all’epoca siano giusti). Marella accetta questa divisione apparentemente a lei sfavorevole anche perché la figlia Margherita si impegna a non pretendere più nulla al momento della morte della madre stessa. Fantafinanza? Mica tanto. Le due donne in quanto entrambe residenti svizzere possono (secondo una convenzione italo-elvetica) fare anche patti successori contro la legge italiana. Certo ogni accordo verrebbe meno se una delle due donne ritornasse residente in Italia. Ma questo è un altro capitolo.

Il dettaglio dell’eredità Agnelli che finisce a Margherita è a questo punto presto fatto. I primi cento milioni sono quelli di cui abbiamo già parlato e che rappresentano la quota in Fiat. Altri cento milioni l’avvocato Agnelli li aveva donati alla figlia nel 1999. Margherita incasserà inoltre tutti e 600 i milioni del cosiddetto conto Maron. In totale siamo arrivati ai primi 800 milioni esentasse. A questi si debbono poi aggiungere circa 150 milioni di euro in quadri. Su questo capitolo la valutazione di David Somerset (grande amico dell’Avvocato e undicesimo Duca di Beaufort) viene considerata dai più molto inferiore alla reale consistenza. I quadri (ad esempio quelli della casa di Roma a due passi dal Quirinale) sono per la maggior parte con certificato di temporanea importazione: dunque roba perfetta da collocare sul mercato. C’è chi dice che i soli quattro Klimt della sala da pranzo della casa di Saint Moritz possano valere 150 milioni. Ecco appunto le case. Quelle italiane (compresa Villar Perosa) vanno tutte a Margherita, per un valore stimato di 45 milioni. Gli avvocati di Margherita ottengono inoltre che anche l’appartamento di New York e quello di Saint Moritz (che risulterebbero già di proprietà di Marella) vengano «collazionati» e cioè riconsiderati nel calderone successorio. Alla fine verranno comunque attributi a Marella. Con quadri, barche e immobili siano arrivati a circa un miliardo di euro. Ai quali aggiungere infine 150 milioni di liquidi e titoli.

Questi ultimi sono gli unici quattrini che l’Avvocato aveva in Italia, alla luce del sole. Erano su un conto scudato, cioè rientrati anni prima grazie allo scudo fiscale di Tremonti. Il totale era di circa 250 milioni: diviso questo al cinquanta per cento tra madre e figlia.

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